La pubblicazione della prima monografia dedicata alla studiosa francese Françoise Collin, a dodici anni dalla sua scomparsa, rappresenta un primo passo per rilanciare una delle figure che hanno segnato il dibattito filosofico e femminista della seconda metà del Novecento a livello europeo e internazionale. A pensarci e a ricordarla nel suo Françoise Collin. Pensare nella differenza, pensare nella libertà (FrancoAngeli, pp. 192, euro 28) è Marisa Forcina, già docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli studi di Lecce che non solo è stata sua grande amica ma anche collega e punto di riferimento imprescindibile per ripensare, in forma dialogica, due grandi questioni filosofiche e politiche di primaria importanza: la libertà e la questione dell’identità.

NEL METTERE IN LUCE i punti salienti della filosofia di Françoise Collin, Marisa Forcina si riferisce, infatti, anche al proprio sapere e al modo in cui ha abitato e abita tuttora la filosofia tracciando così il percorso di una genealogia che le consente di riconoscere la presenza viva dell’altra nella sua propria ricerca della verità, così come si evince dalla citazione di María Zambrano posta in epigrafe all’introduzione. Non si tratta di mera specularità ma di una necessità di presenza, di un’alterità imprescindibile alla pluralità di voci che il dialogo filosofico da sempre sottende nella costruzione della propria soggettività. Nelle dense pagine del libro, Forcina rievoca lo spessore teorico di una pensatrice singolare e profondamente anticonformista che ha saputo offrire gli strumenti per una nuova prassi capace di dare avvio a quella trasformazione dello sguardo che, in forme e modi diversi, ha caratterizzato e segnato il pensiero di molte filosofe del XX secolo.

Diviso in otto capitoli, il libro affronta una serie di questioni cruciali che hanno attraversato tutta la vita e la ricerca di Françoise Collin. Il suo stretto legame con l’Italia, in particolare con quella particolare luce del Salento e con l’Università di Lecce con cui ha avuto un rapporto più che ventennale; le radici filosofiche di un femminismo radicale a partire dal rilancio di due pensatori d’eccezione come Maurice Blanchot e Hannah Arendt; la fondazione, nel 1973, della prima rivista femminista politico filosofica in lingua francese Les Cahiers du Grif, un luogo teorico di vitale importanza in cui l’analisi critica femminista e l’elaborazione politica delle donne si sono intrecciate alla ricerca filosofica e letteraria; l’importanza del processo democratico alla luce della pluralità, del simbolico e della cittadinanza; il lavoro politico della differenza declinata al gerundio come «differendo» perché inteso come elemento di verità di un agire incarnato, non rappresentabile, e pensato come condizione instabile legata alla concretezza del divenire; la sua originale interpretazione della tradizione filosofica e, infine, il rapporto tra rappresentanza e democrazia.

Al centro di tutte queste tematiche che rendono conto dell’ampio respiro con cui Francoise Collin si muove nel panorama filosofico, vi sono quelle relative all’identità, alla pluralità e alla libertà. La prima pensata in stretta relazione con la narrazione e con ciò che disloca, spiazza continuamente da qualsiasi assetto essenzialistico e sostanzialistico, la seconda pensata non come corpo unico e compatto ma come una polifonia di singolarità irripetibili e dialoganti all’interno di un mondo condiviso e comune, la terza pensata in stretta relazione alla differenza e alla pluralità. Marisa Forcina si sofferma con particolare interesse sul modo di procedere di Françoise Collin e sulla valenza politica del suo pensiero che, in forma ironica e impertinente più che rivendicativa, ha saputo guardare ai processi di dominazione in maniera lucida e priva di illusioni.

PROPRIO PER QUESTO il suo contributo al pensiero femminista è un pensiero di sottrazione e di svuotamento delle rappresentazioni già pensate e date e riguarda soprattutto la dimensione della prassi, dell’esperienza e dell’agire, più che la dimensione teorica. La sua critica alla metafisica dei sessi, l’idea che la differenza sessuale sia in sé irrappresentabile, non identificabile, non oggettivabile, la porta a cercare nuove parole e nuovi percorsi che possano aprire a pratiche non identitarie e a rendere conto della trasformazione del campo simbolico, intendendo con questo la necessità di incidere sul terreno stesso della rappresentazione e di prestare la massima attenzione di fronte alle ambiguità che si creano quando, accanto alla storia maschile, si cerca di colmare il vuoto, seppur con le più buone intenzioni, con la costruzione di una storia «al femminile».

Il punto, infatti, non è soltanto quello di aggiungere al sapere tradizionale il suo tassello mancante, quanto quello di rimettere in questione tutto il sapere e di reinterrogarlo alla luce di una differenza pensata al di fuori della logica dell’opposizione, che non si lascia più assimilare al discorso dell’Uno e che non può più essere interpretata come una «condizione», come un contenuto, ma come una pratica che apre alla libertà soggettiva. Si tratta, scrive Marisa Forcina a commento di un passo di Françoise Collin, di «fondare la differenza opponendola al modo di intendere la soggettività in maniera indifferente e accidentale, ma anche all’ancoraggio fondato sull’identità, intesa come luogo sicuro e roccaforte stabile. Si tratta di un’antinomia etica, estetica e politica».

LONTANISSIMA, dunque, da qualunque affermazione trionfalistica della soggettività, da qualsiasi logica fusionale e da qualsivoglia posizione essenzialista, Françoise Collin ci invita a stare nell’apertura data dalle relazioni, dal «tra», e ad assumere fino in fondo il carattere politico del dialogo, rivelatore della nostra costitutiva eteronomia. Ne va così di qualcosa che interroga «la trascendenza di una differenza irrappresentabile» e che inaugura percorsi costituenti capaci di aprire nuove possibilità per la democrazia stessa. Stare dentro il pensiero della differenza sessuale significa, da questa prospettiva, fare i conti con un cortocircuito del pensiero, acquisire una griglia di lettura che consente di guardare con occhi differenti il sapere e di articolare e smascherare la dissimmetria che si dà sempre in termini di potere e di verticalizzazione. Le grandi trasformazioni, come quelle inaugurate dal femminismo, sono nate dal desiderio di modificare ciò che sembrava immodificabile innanzitutto nella propria vita, nella società e nel mondo. È stato un mettere sottosopra il mondo a partire da sé.

Con Françoise Collin non solo non dobbiamo smettere di vigilare, ma dobbiamo, arendtianamente, contrastare tutto ciò che ci rende superflui per stare nella prassi di una rappresentazione dove ogni singolarità è autrice e attrice nella grande scena teatrale del mondo.