La nuova direttiva europea sul copyright è stata approvata dal Parlamento europeo riunito a Strasburgo, con 438 voti a favore contro 226 contrari e 39 astensioni. La norma armonizza a livello continentale la remunerazione degli autori dei contenuti. Ma soprattutto vuole aggiornarla all’attuale paradigma digitale, visto che l’accesso a testi, video e audio oggi avviene quasi sempre via Internet con modalità molto diverse da quelle tradizionali. Almeno sulla carta, la direttiva vorrebbe remunerare gli autori e gli editori dei contenuti originali diffusi in rete, anche quando si acceda ad essi attraverso piattaforme come YouTube per i video, o Facebook e Google News per gli articoli.

La posta in gioco e l’incertezza del risultato hanno attirato moltissima attenzione intorno al voto, fatto insolito per il Parlamento europeo. La suspense derivava dal fatto che una precedente versione della direttiva era già stata respinta dal Parlamento il 5 luglio. All’epoca, tutti i principali partiti politici si erano spaccati sul voto, tranne ecologisti e verdi che avevano votato contro in modo compatto, sulla spinta di una rete di associazioni per la libertà di espressione. Gli oppositori criticano soprattutto gli articoli 11 e 13 della direttiva.

IL PRIMO RIGUARDA la remunerazione dei contenuti giornalistici a cui gli utenti arrivano attraverso «aggregatori» come il popolare servizio Google News. Piattaforme come questa si basano sulla raccolta di dati sugli utenti interessati ai contenuti gratuiti. Solo che i contenuti sono prodotti da altri editori, che vorrebbero una fetta del business.

PER RIMEDIARE, la direttiva prevede che le piattaforme paghino agli editori un «pedaggio» sull’uso dei contenuti giornalistici, foss’anche per citarne due righe (cioè uno «snippet») nei risultati di una ricerca. Da parte loro, le grandi piattaforme come Google e Facebook rispondono che sono proprio loro a generare traffico verso i contenuti e dunque gli editori dovrebbero ringraziarli.

La norma, dietro la retorica della remunerazione degli autori, in realtà è destinata ad avere l’effetto opposto. Piuttosto che pagare una tassa sui singoli contenuti, Google probabilmente chiuderebbe il suo servizio News: è già avvenuto in Germania e Spagna, dove sono state adottate normative simili alla direttiva. La limitazione a quel punto rimarrebbe valida solo per singoli utenti o piattaforme minori che volessero citare «snippet» di contenuti altrui, e il risultato finirebbe per danneggiare la libertà di espressione via web. La nuova versione dell’articolo 11 presentata dal relatore Axel Voss (del Partito Popolare Europeo) chiarisce solo che non si potranno tassare i singoli link, ma nella sostanza non cambia rispetto alla versione di luglio.

L’ALTRO ARTICOLO CONTESTATO, il 13, riguarda la responsabilità sulla diffusione di contenuti coperti da copyright. In altre parole, le piattaforme digitali dovranno preventivamente controllare che i contenuti caricati dagli utenti non violino il diritto d’autore. Il principale servizio del genere, YouTube, già da anni ricorre a un sistema di identificazione digitale, basato sulla catalogazione di un’enorme quantità di opere, che gli permette di riconoscere automaticamente i video «a rischio». Ma pochi altri siti possono permettersi sistemi preventivi di questa portata. Inoltre, in epoca di fotomontaggi, remix e «memi» è difficile stabilire se un contenuto sia sottoposto a copyright o meno. Dunque, la prevenzione affidata alle piattaforme richiede grandi risorse e può limitare, per eccessi di prudenza, la libertà di espressione. Rispetto alla versione di luglio, la direttiva aggiornata se non altro esenta siti come Wikipedia o GitHub (popolarissimo servizio di condivisione di software open source) dal rispetto del copyright.

POCHI EMENDAMENTI, e una notevole pressione da parte delle lobby di autori ed editori, sono bastati a spostare gli equilibri a Strasburgo rispetto a tre mesi fa. Ora la direttiva verrà discussa nei negoziati a porte chiuse tra parlamento europeo e governi nazionali mentre incombono le elezioni europee. Il destino della direttiva è ancora incerto, ma per le lobby è un giorno di festa.