Un congresso infinito, lontanissimo dalle conclusione, reso ancor più feroce dall’impossibilità di portare lo scontro nelle sedi adeguate, appunto le assise congressuali. Ieri mattina i “lealisti” del Pdl erano alle corde, con Berlusconi deciso a mantenere il partito unito a tutti i costi e dunque ad appoggiare l’operazione di Alfano. Ieri sera la situazione era capovolta, con lo stesso Berlusconi rispostatosi con i “lealisti” di Fitto contro i “governativi”.
Il gran capo ferito può sembrare un fuscello in balia del vento. In realtà ha una sua bussola, tenere unito il suo partito, e forse davvero più per questioni sentimentali che politiche. Ieri mattina, mentre i ministri allestivano una conferenza stampa convocata solo per dimostrare di essere saldi in sella, si è reso conto che né gli uni né gli altri sono disposti a cedere. Se Alfano e i suoi avevano puntato i piedi la settimana scorsa, stessa cosa fa oggi Raffaele Fitto: “Io vado avanti fino in fondo».
Berlusconi ha capito l’antifona. Ad Arcore c’era Sandro Bondi, e a lui è stato affidato il compito di firmare un comunicato che bolla l’iniziativa dei ministri come “incomprensibile e persino paradossale”. In effetti, non è facile capire a cosa servisse la solenne conferenza stampa in questione. Alfano non è andato oltre il rivendicare i meriti della permanenza al governo, ribadire che sull’Imu lo scudo sarà a prova di qualsivoglia pressione e proclamare che l’unità del partito è il primo obiettivo. Un’ostentazione di forza che si è risolta in una prova di debolezza
Il problema del Pdl, in fondo, è tutto qui. Non può stare insieme, perché il conflitto tra le fazioni è già degenerato n odio. Non può dividersi, perché i governativi sanno di non avere alcuna forza reale tra gli elettori e i lealisti non possono permettersi la spaccatura senza la benedizione di Berlusconi. E lui, l’Insonne, è preso in mezzo. Stritolato dalla tenaglia del suo partito impazzito. Riconosciuto all’unanimità come unico leader, però non più obbedito da nessuno. Ma anche depresso, disgustato dall’imminente affidamento ai servizi sociali, convinto che l’unico modo per evitare l’esplosione della sua creatura politica sia prendere tempo.
Oggi Berlusconi vedrà Fitto. Si sentirà ripetere che le cariche vanno azzerate, che il partito non può restare nelle mani di chi ha ispirato la pugnalata alle spalle della settimana scorsa, di chi ha l’appoggio di una non disinteressata stampa ma non quello degli elettori di centrodestra. Il Prigioniero la pensa come lui. Però non ha alcuna intenzione di portare il ragionamento alle estreme conseguenze. Anche oggi troverà modo di non decidere niente. L’ultima è che vuole aspettare il voto del Senato sulla sua decadenza, quello definitivo e non ancora calendarizzato. Non è che ci speri davvero. E’ solo l’ennesimo appiglio per rinviare.
Lo stallo infinito del Pdl costituisce per il governo il principale fattore di stabilità. Tra i lealisti c’è chi profetizza una sopravvivenza di Letta lunga quanto l’intera legislatura e chi, al contrario, sussurra sibillino che la possibilità di votare in marzo non è definitivamente esclusa. La realtà è che dal circolo vizioso in cui si è cacciato, il Pdl non uscirà senza che un qualche elemento esterno arrivi a far deflagrare la situazione. La sola mina oggi evidente è costituita dall’Imu, e la minaccia non sfugge a Letta. Disinnescata la bomba dell’emendamento Pd sul ripristino della prima rata per le fasce più ricche, il presidente del consiglio è ora impegnato a eliminar quella, ancor più esplosiva, rappresentata dalla seconda rata. Se ce la farà, potrà contare su quella stabilità melmosa che solo le paludi possono garantire. Sempre che, con un guizzo oggi del tutto imprevedibile, Berlusconi non riesca a riprendere le redini di un partito in cui, oggi, non controlla più quasi niente.