Di buon mattino su Radio Capital Carlo Calenda si sfoga. Dopo due giorni di graticola, nottetempo ha dovuto annullare, naturalmente via social, la «cena dei piddini», quella convocata chez soi – ma via twitter – con ospiti selezionati: Renzi, Gentiloni, Minniti. L’iniziativa ha scatenato un Circo Barnum nel Pd. E fuori lo sfottò generale. A social unificati.
Dunque Casa Calenda chiude la cucina. Ma il padrone di casa c’è rimasto male e ne ha per tutti: Renzi «si è comportato in modo non serio», prima accetta poi fa «uscire i retroscena», l’ex ministro voleva solo far parlare «due che non si rivolgono la parola dal 4 marzo» (Renzi e Gentiloni, ndr), Orfini che chiede lo scioglimento del Pd «è un tipo strano, quando io ho chiesto di superare il Pd mi ha dato del traditore», insomma tutti pazzi, il Pd «sta diventando un posto in cui l’unico segretario che si dovrebbe candidare è il presidente dell’associazione di psichiatria».

Oggi Calenda ha convocato la stampa estera, si attendono nuove esternazioni. Intanto ieri le agenzie gli attribuivano persino l’augurio di «estinzione» al Pd (smentito), ma una parte dei renziani la prende malissimo. Il romano Luciano Nobili twitta severo: «Non hai votato Pd e sei stato accolto a braccia aperte. Per dare una mano. Non per chiuderci». Le reazioni sono a catena. Roberto Giachetti, in odore di candidatura a congresso, da buon radicale inizia un digiuno per ottenere la convocazione delle assise. Lo spettacolo che il Pd offre, dice un video, «è indecoroso», serve «un’assemblea straordinaria», «È inutile che ci avventuriamo in congressi regionali staccati da un disegno nazionale. Chiedo di unificare i percorsi congressuali e fare il congresso entro novembre», «Dobbiamo smetterla di suonare la nostra musichetta come l’orchestrina sul Titanic».

La maionese è impazzita, i dirigenti ormai litigano a pesci in faccia. Maurizio Martina, il segretario ignorato da Calenda e accusato di traccheggiamento da Giachetti, corre ai ripari: «Adesso basta», verga sull’Huffington post, «È possibile ora chiedere a tutti i dirigenti nazionali del mio partito una mano perché la manifestazione del 30 settembre a Roma sia grande, bella e partecipata?». Quanto al congresso, si farà: «Con le primarie a gennaio sarà un percorso cruciale per confrontarci sulla prospettiva e allargare al massimo la partecipazione».

Ma la pace non torna. Anzi. Neanche è sopita la storia della cena che il Pd si infila in un’altro litigio interno. L’oggetto stavolta è il rinvio dell’ospitata di Barbara D’Urso alla trasmissione di Bianca Berlinguer su Raitre. Mezzo Pd si scatena contro la Rai. Alessia Morani parla di «svolta peronista del regime gialloverde», Pina Picierno di «censura incomprensibile», Raffaella Paita di «atto inqualificabile». E invece Michele Anzaldi, uno che di Viale Mazzini è esperto, bacchetta le colleghe: «Non capisco cosa c’entri la censura, D’Urso è diventata un esponente politico? Qui siamo di fronte ad un caso di ricerca di audience con ogni mezzo, mi pare. Ma che il servizio pubblico eviti di dare a un conduttore concorrente ulteriore visibilità e legittimazione mi sembra un’ovvietà». In effetti dall’azienda c’è chi spiega: «D’Urso, conduttrice di Pomeriggio 5 su Canale 5, domenica scorsa è stata battuta dalla nostra Mara Venier, conduttrice della Vita promessa su Raiuno: perché la Rai dovrebbe dare un aiutino alla concorrenza?».

Ma il Pd ormai ha perso la bussola. Non si divide solo fra pro e contro D’Urso, c’è anche una terza posizione: quella di chi regola vecchi conti in famiglia (renziana): «Bianca Berlinguer, che accusò il Pd di averla censurata dal Tg3, dimostri oggi che quella battaglia fu per la libertà e non per sé», intima Tommaso Cerno, deputato ed ex condirettore di Repubblica.