Per il Pd di osservanza renziana non c’è neanche bisogno di aspettare di incontrare «l’esploratore» Roberto Fico. «Democratica», la testata online del Nazareno, prima che il Colle abbia conferito l’incarico ha già pronto e impaginato un numero della rivista fitto di articoli che spiegano le ragioni del no ai 5 stelle. «Eravamo, siamo e resteremo alternativi ai 5 Stelle», dice Matteo Orfini.

A INCARICO CONFERITO, il presidente Pd deve dunque solo ribadire quello che del resto predica da mesi (se non da anni): «Non ci sono le condizioni minime per una maggioranza politica tra 5 Stelle e Pd». Un no preventivo prima di ascoltare la proposta del presidente della camera? «Ma la proposta c’è, ed è il contratto. Quel documento è fiction, un’operazione cinematografica, un’opera di maquillage», attacca, «se andiamo avanti così ci proporranno i cento punti del Pd e Di Maio chiederà la tessera del partito pur di avere il nostro sostegno, ma non sarebbe un atteggiamento serio».

DOPO ORFINI interviene tutto il Pd renziano, a valanga. L’ordine di scuderia è quello di rendere improponibile persino una discussione sull’argomento. Deputati e senatori fanno a gara per dettare alle agenzie un testo che sembra un copia-e-incolla degli uffici stampa: «Non ci sono le condizioni minime per una maggioranza politica tra 5Stelle e Pd», «Ascolteremo il presidente Fico ma le distanze sul programma restano molto marcate»: lo dice il presidente dei senatori Andrea Marcucci, lo ripetono molti altri.

PAZIENZA se è una sgrammaticatura, se non proprio uno sgarbo, anche nei confronti del presidente Mattarella che ha appena conferito un incarico che così suona da subito inutile. Anche per questo al Colle l’umore è sempre più cupo. E non è un caso se dirigenti con maggiori attenzioni istituzionali, ma che non possono essere sospettati di tenerezze nei confronti dei 5 stelle, non partecipano alla «mail bombing» anti-5stelle. Sono il presidente dei deputati Graziano Delrio («Non parlo prima dell’incontro», dice ai cronisti) e Lorenzo Guerini. E alla fine anche il reggente Martina deve provare a mettere un argine: «Ci confronteremo con il presidente Fico con spirito di leale collaborazione secondo il mandato conferitogli dal presidente Mattarella», ma la precondizione è « la fine di ogni ambiguità e di trattative parallele con noi e con Lega e centrodestra».

MA L’UNICO DEPUTATO dell’area di Emiliano è già insorto: «Esprimere giudizi sulla linea che dovrà tenere il Pd subito dopo le decisioni di Mattarella e senza attendere l’incontro istituzionale tra il presidente Fico e la delegazione del partito è grave e irrispettoso verso le più alte istituzioni dello Stato», attacca Francesco Boccia, invocando una direzione a stretto giro. «Parole imbarazzanti e farneticanti», gli replica a brutto muso Michele Anzaldi. È un assaggio di cosa potrebbe essere la guerra civile nel Pd, se si scatenasse. Dalla minoranza di Andrea Orlando però non arriva una mano a Boccia: per il ministro la condizione del dialogo è che i 5 stelle chiudano il «forno» della Lega.

LA VERITÀ È CHE AL PD, dopo gli anni di insulti con i grillini, non basterà neanche questo: quando infatti a metà pomeriggio Di Maio pronuncia l’addio alle trattative con Salvini, i dem non ci credono. E comunque per loro non cambia nulla. Il muro dei «no» è ormai costruito, l’incontro atteso per le prossime ore è già fallito. Il fatto è, spiegano dal Nazareno, «che aprire la discussione su una proposta dei 5 stelle può diventare ingestibile». Le voci a favore del dialogo sono poche, ma potrebbero aumentare. Ieri si è aggiunta l’ex deputata Sandra Zampa – ed ex portavoce di Prodi – che ha consigliato il Pd di «far partire un governo a 5 stelle», anche «con le astensioni».

MA NON È CERTO QUESTA la strada per salvare la legislatura, obiettivo del Colle ma anche, e senza dubbio del Partito democratico. Che ieri ha incassato una nuova sberla elettorale in Molise (dove non è arrivato al 9 per cento) e sa perfettamente che dal ritorno al voto può solo aspettarsi per ora il definitivo ko elettorale.

LA STRADA PER FAR PARTIRE la legislatura passa per Matteo Renzi, segretario-ombra con pieni poteri. Che ieri scorreva le agenzie con le dichiarazioni dei colleghi dem e spiegava ai suoi: «Per fare una maggioranza con i nostri voti, M5S dovrebbe convincere almeno il 90 per cento dei gruppi Pd».

OVVERO LUI. Lo sanno bene anche i 5 stelle che, come ha scritto ieri La Stampa, per arrivare all’ex segretario starebbero tentando la via di Luca Lotti, il suo più stretto collaboratore e da sempre uomo delle ambasciate oltre le linee nemiche.