La trattativa tra il Pd e Renzi si è interrotta. Di fronte ai continui rilanci del rottamatore, anche un paziente tessitore come Goffredo Bettini ha capito che le strade del dialogo per tenere insieme questa maggioranza portano in un vicolo cieco.

Raccontano fonti dem che, quando Renzi dopo quella di Conte ha chiesto anche la testa del ministro della Giustizia e capodelegazione M5S Alfonso Bonafede, a quel punto è stato chiaro che l’unico obiettivo era far saltare i nervi ai 5 stelle. E precipitare verso quello che Andrea Orlando ha chiamato «il burrone della crisi». Con un obiettivo molto chiaro da parte di Renzi: costringere i dem a seguirlo nell’avventura di un governo di unità nazionale con Berlusconi e Salvini. Dunque è partita la contraerea.

Bettini, che nei giorni scorsi aveva taciuto mentre provava a tessere la tela, ha dato un’intervista al sito Tpi per sferrare una bordata a Renzi il cui succo è «se non va bene Conte sfiducialo in Parlamento e noi con i 5 stelle chiediamo le elezioni anticipate». No dunque «all’avventura, al trasformismo, a coalizioni incerte e improvvisate», dice Bettini. «Conte è il pilastro dell’attuale alleanza che ha lavorato bene e che per il Pd non ha alternative. Se qualcuno intende romperla, sarà il Parlamento, e poi eventualmente gli elettori, a decidere se Conte dovrà continuare a lavorare al servizio della Repubblica».

Lo scenario è quello che da giorni Bettini e Franceschini vanno delineando in caso di rottura con Renzi: il voto il prima possibile con una coalizione a tre, Pd, M5S e Leu, con un Movimento trainato dalla popolarità del premier uscente che potrebbe limitare i danni e attestarsi intorno al 15%. «Con questa legge elettorale e i collegi uninominali, nel centrosud ce la giochiamo con la destra, Renzi invece sparisce», la linea del Nazareno.

Oggi si riunisce la direzione Pd, Zingaretti farà ancora appello al senso di responsabilità di tutta la coalizione, ma accennerà ai compagni di partito anche il Piano B: e cioè quello di un asse con Grillo e Conte per scoprire il bluff di Renzi e inchiodarlo alle sue responsabilità. L’obiettivo, se Renzi staccherà la spina ritirando le ministre, è quello di evitare il voto a rischio del Senato e salire al Quirinale con le dimissioni del premier.

A quel punto, alle consultazioni, Pd e M5S diranno a Mattarella che per loro c’è il Conte ter o le elezioni. Una massa critica, quella formata da dem e grillini, che potrebbe anche far pendere la bilancia del Colle verso le urne: contando anche Leu, si tratta di circa 135 senatori su 315 e 295 deputati su 630. Del primo e del secondo partito alle ultime politiche.

«Il Quirinale dovrebbe tenerne conto, e anche negli Usa si è votato in piena pandemia», ragionano fonti dem. «Le urne non sono un esito scontato della crisi, ma neppure impossibile come va dicendo Renzi. In ogni caso non si può pensare di andare avanti con i continui ricatti di Matteo, che pensa di comandare come quando aveva alle spalle un partito del 40% anche se adesso ha il 2%».

E del resto Zingaretti voleva le urne già nel 2019, quando Salvini schiantò il Conte I ed era al top dei consensi. Oggi invece il leghista si è assai indebolito. La strada che il Pd non vuole invece percorrere è quella di andare avanti con qualche senatore raccattato in Aula. «Nessuna barricata se ci sono nuovi apporti, ma non credo che un governo si possa reggere su un materiale così friabile come quello di singoli parlamentari la cui volontà può cambiare da un giorno all’altro, già così è dura», spiega a La7 il vicesegretario Orlando.

Dunque se Renzi vuole aprire la crisi, il Pd chiederà a Conte di dimettersi senza cercare responsabili in Senato. Ma senza lasciare margini al governissimo sognato dal capo di Italia Viva. «Impicci con la destra non se ne possono e non se ne debbono fare», insiste Orlando che nei giorni scorsi aveva spiegato di provare «imbarazzo» anche solo all’idea di un governo con i trumpiani Salvini e Meloni.

Quanto a nuovi premier dentro l’alleanza attuale maggioranza (ipotesi allo stato attuale assai improbabile) , «non è semplice trovare una figura come Conte che tenga insieme forze politiche così diverse», ribadisce il vicesegretario dem.

La trattativa dunque è arrivata al muro contro muro, la diga che il Pd in queste settimane aveva costruito per evitare il frontale tra Renzi e Conte è caduta e i margini per una ricomposizione della maggioranza sono esigui. Di questo, pur senza toni ultimativi che non sono nel suo stile, parlerà oggi Zingaretti alla direzione. Tracciando la road map che il Pd seguirà una volta aperta la crisi.