«Il dibattito sull’alleanza con M5s su Roma è totalmente inventato. Il Pd è all’opposizione, lavoriamo per costruire un’alternativa». A più riprese ieri il segretario dem ha cercato di chiudere la polemica dei renziani che lo accusano di ‘coprire’ la sindaca di Roma. Venerdì su La7 alla domanda di Lilli Gruber sulle dimissioni di Raggi Zingaretti aveva risposto: «Non dovrebbe dimettersi, dovrebbe affrontare i temi irrisolti». Ieri è tornato sul senso delle sue parole: non sta al segretario nazionale chiedere il passo indietro alla sindaca. Ma il problema di un «Raggi bis» non si pone neppure: «Nelle elezioni comunali c’è il doppio turno e tendenzialmente ci si andrà. Ed è normale, dentro una dura battaglia di opposizione, pensare anche all’alternativa per evitare che dopo Raggi arrivi un’altra figura che faccia continuare il declino di Roma».

A SCANSO EQUIVOCI il Pd romano, che nel frattempo raccoglie le firme per cacciare la sindaca, si è scatenato sul Campidoglio. A suonare la grancassa contro Zingaretti sono stati invece Renzi e i suoi che alzano i decibel per preparare la Leopolda di questo week end. Una kermesse, la numero dieci e la prima da transfughi, per niente facile: nei sondaggi la nuova creatura politica non decolla. E i tre simboli sottoposti al vaglio della rete non hanno raccolto entusiasmi, neanche fra gli aficionados.

AL NETTO DELLE GAZZARRE leopoldine però il punto che agita il Pd è la rotta di avvicinamento fra Pd e 5s. Un percorso per niente scontato, a vederlo da Palazzo Chigi dove ieri è saltato il consiglio dei ministri per disaccordo sulla manovra. Un percorso praticamente obbligato invece a vederlo dal Nazareno. «Pd e M5s, assieme ai partiti che sostengono il governo, hanno un potenziale che va intorno al 47/48%. Vogliamo provare a farla diventare un’alleanza? Io dico sì. Altrimenti torna Salvini», è il ragionamento di Zingaretti. Domenica le parole di Grillo dal palco della festa pentastellata di Napoli («Basta piagnistei con il Pd», «C’è sintonia perfetta») vanno nella stessa direzione. Una convergenza basata sul realismo, sembrerebbe.

MA PRIMA DI PROCEDERE OLTRE c’è la prova del nove del 27 ottobre, in Umbria, la prima regione dove dietro a un candidato civico – e non di sinistra – Pd e 5 stelle vanno al voto insieme. Da quel risultato può partire una reazione a catena: in caso di sconfitta verso Palazzo Chigi. In caso di vittoria verso Bologna. Nell’Emilia Romagna che andrà al voto all’inizio del 2020, il dialogo Pd-M5S fin qui ha girato a vuoto. In attesa di un ‘segnale’ dagli elettori. Che spazzi o viceversa amplifichi i malumori interni ai due promessi sposi. Dal Pd il via libera però è sempre più senso comune: di alleanza in uno stesso campo di gioco, al netto della legge elettorale, parlano Andrea Orlando e Goffredo Bettini. E l’ala sinistra Massimiliano Smeriglio per venerdì 18 ottobre ha invitato a Roma, alla Link Campus University, a un confronto pubblico Roberta Lombardi, la leader grillina lontana da Di Maio (e da Raggi) che per prima alla regione Lazio ha «scongelato» il dialogo con la giunta Zingaretti.

OGGI LA DIREZIONE PD discuterà del rilancio del partito. Alle viste c’è un’assemblea nazionale che prepari un passaggio ufficiale – congressuale o quasi, le forme sono ancora da definire – che cambi il posizionamento politico del Pd post governo. E ridefinisca, fra tutto il resto, anche le possibili alleanze.