È il giorno di un’altra tegola per Salvini: dopo l’Affaire Metropol il suo nome spunta anche nell’inchiesta su Armando Siri per corruzione. Il Pd dovrebbe approfittare per colpire l’avversario leghista all’angolo. E invece, come da tradizione, si ritrova infognato nella più autolesionistica delle guerriglie interne. Il caos nasce dalle colonne del Corriere della sera da dove Dario Franceschini critica la famosa «teoria dei popcorn» di Renzi (quella in base alla quale il Pd può limitarsi a guardare il film dei gialloverdi che governano), spiega che M5S e Lega non possono essere messe sullo stesso piano, che la mozione di sfiducia contro Salvini è un’ingenuità politica. Quindi propone di «costruire un arco di forze che, anche se non governano insieme, sono pronte a difendere i valori umani e costituzionali che Salvini calpesta».

NON È LA PRIMA VOLTA che Franceschini lo dice. Come ogni volta, anche stavolta la minoranza renziana si scatena. Anche se si tratta della linea politica su Zingaretti ha vinto il congresso. Ma ormai la frattura fra i «#senzadime», che escludono ogni dialogo con i 5s, e tutti gli altri è profonda. Contro l’ex ministro parte la sassaiola renziana in rete.

INTANTO DI MAIO allontana malamente da sé il sospetto d’inciucio: «Non vogliamo avere nulla a che fare con un partito che invece di supportare la nostra battaglia di civiltà nei confronti dei cittadini, ha saputo criticare il reddito di cittadinanza e oggi sta facendo le barricate contro il salario minimo». Il vicepremier deve sottolineare bene il niet grillino. Anche perché sul Corriere, oltre all’offerta di Franceschini, c’è anche un’analisi dello storico Paolo Mieli che apre gli occhi a qualcuno: descrive il premier Conte ormai rafforzato contro l’alleato leghista grazie a una maggioranza di riserva: quella con le opposizioni che concentrano «le loro energie esclusivamente sul contrasto a Salvini».

INTANTO MEZZO PD chiede a Zingaretti di chiarire. A chiarire invece è Renzi: se il Pd vuole difendere certi valori «insieme a loro, ok, ma senza di me». Con il consueto tocco, l’ex premier ricorda a Franceschini il flop elettorale nella sua Ferrara: «Chi ha perso nel proprio collegio e poi consegnato la propria città alla destra dopo settant’anni, forse potrebbe avere più rispetto per chi il collegio lo ha vinto e continua a governare i propri territori». Franceschini non è nelle condizioni di rinfacciargli il ruolo avuto nella caduta del governo Letta e nell’ascesa dello stesso Renzi a Palazzo Chigi. Si limita quindi a una replica sarcastica: «A prima vista sono rimasto colpito dalla raffinatezza dell’analisi politica ma devo rileggere più volte il post per cogliere meglio alcune sofisticate sfumature». Lo stato dei rapporti interni è questo.

PER LA VERITÀ LA MOSSA di Franceschini è forse troppo «sofisticata». Attaccando l’ex segretario ha messo nei guai quello attuale. Secondo i renziani ha voluto mandare un avviso a Zingaretti che nell’ultima direzione aveva usato parole liquidatorie nei confronti delle correnti, delle quali in realtà non può fare a meno.

QUANDO ALLA FINE IL SEGRETARIO parla non si può dire che usi parole definitive: «Nessun governo con M5S. Non è l’obiettivo del Pd. Anche Franceschini lo dice in modo chiarissimo». Sembra una cauta dissociazione dall’ex ministro, i suoi uomini spiegano è tutto il contrario.

MA PRIMA O POI IL NODO del rapporto con i grillini verrà al pettine davvero. È un percorso politico «ineluttabile», come lo definisce Bruno Tabacci, democristiano di lungo corso. Ma se Zingaretti non comincia a «scongelare il dialogo con i 5 stelle» (copyright di Massimiliano Smeriglio, il suo braccio sinistro che per avere usato questa espressione un anno fa fu seccamente smentito) il tema rischia di essere un’arma a disposizione di Renzi.

ZINGARETTI RIMANDA alla prossima legislatura. E intanto attacca Salvini che ha risposto picche alla richiesta di riferire alla camera sull’Affaire Metropol ma ha fatto circolare la voce che domani sarà al Palazzo Madama, fra gli scranni, da senatore semplice, a replicare all’informativa del presidente Conte sulle vicende russe. Cose mai viste, dovrebbe essere una manna per l’opposizione. E invece per Renzi è un’altra occasione per uno sgarbo al segretario: annuncia di voler parlare lui prima di Salvini. Zingaretti non commenta, ma fra i senatori dem c’è malumore. Oggi la loro riunione.