Persino dire l’ovvio nel Pd diventa un’eresia. «Al di là di quella di Draghi, il Pd ha bisogno di un’agenda propria», ha scritto ieri Gianni Cuperlo in un articolo su Domani. «Non è di un papa straniero che abbiamo bisogno. ma di un’altra lingua e di nuove parole», ha aggiunto citando il programma più radicale del candidato della Spd Olaf Scholz. E ancora: «Una maggioranza che include Lega e Forza Italia non rappresenta l’alternativa alla destra su cui dobbiamo investire per il “dopo Draghi”».

Cuperlo arriva a escludere ciò che una parte del Pd coltiva come progetto: «Bisogna distinguere il sostegno attuale a Draghi da qualsiasi ambizione a rinnovare lo stesso modulo se dalle prossime elezioni non uscisse una chiara maggioranza politica. Il tempo in cui potevamo affidarci ad altri è finito, adesso dobbiamo farcela da noi», la conclusione del presidente della Fondazione Pd.

Le sue parole arrivano il giorno dopo la cerimonia alla Bologna business School, dove martedì è stata intitolata l’Aula magna a Beniamino Andreatta, alla presenza di Draghi, Enrico Letta e Romano Prodi (e anche Stefano Bonaccini, possibile candidato al prossimo congresso dem). Una giornata che, per alcuni osservatori, ha avuto il significato di una incoronazione di Draghi come «nuovo Prodi» e dunque come candidato premier in pole position per il centrosinistra. La scelta di Bologna e di una giornata per Andreatta, che fu la mente dell’Ulivo, non sono casuali.

Dunque Draghi almeno «fino al 2023». E magari anche dopo. Questa ormai pare la linea di Letta, quella di una progressiva draghizzazione del Pd. Che piace agli ex renziani. Subito pronti ad attaccare Cuperlo. «Posizionamenti e distinguo sono del tutto sbagliati», dice Andrea Romano. «Prendere le distanze dal governo Draghi non serve né all’Italia né al Pd. Dopo la tornata amministrativa dovremo discutere con molta franchezza sulla qualità e la sostanza del nostro pieno sostegno al governo».

Sulla stessa linea Andrea Marcucci: «I continui distinguo dentro il Pd sul governo non aiutano i gruppi parlamentari e il segretario. Serve chiarezza, l’agenda Draghi è l’agenda del Pd».

Dalla sinistra dem la controffensiva. «Come dice Cuperlo, che il governo Draghi sia sostenuto dal Pd senza riserve e con convinzione è fuori discussione. Altrettanto fuori discussione dovrebbe essere che il Pd è alternativo alla Lega», spiega Andrea Giorgis.

E anche da Bersani, in via di riavvicinamento ai dem, arriva un altolà: «Se un partito non avesse una propria agenda non avrebbe senso di esistere», dice al manifesto a margine di un comizio. E ancora: «Draghi fa bene il suo lavoro, il centrosinistra però deve pensare a quello che manca: e cioè un intervento radicale sul lavoro, perché se anche tornassimo ai numeri pre Covid con questo tipo di lavoro precario la società non sta in piedi».

Bersani spiega che «bisogna riunificare il mondo del lavoro con una pienezza di diritti». «Il salario minimo orario non basta, servono una legge sulla rappresentanza, la riforma della contrattazione e ammortizzatori universali». A Letta un messaggio «amichevole»: «L’hardware della sinistra è il lavoro, se non si riparte da qui le altre battaglie, come sui diritti civili, perdono rilievo. E anche il tema della riforma della democrazia perde appeal».

Dal fronte opposto si rifà vivo Renzi: «Se il Pd di Letta potrà recuperare identità riformista noi ci stiamo». Non è un caso che in questa confusione prenda la parola il sempre silenzioso Franceschini: «C’è’ bisogno che Letta resti segretario fino alle elezioni del 2023».