C’è un paletto «insormontabile che il Pd in queste ore frenetiche sta mettendo nella trattativa con Renzi per evitare la crisi di governo: «Se si vuole tenere in piedi questa maggioranza non ci sono alternative a Giuseppe Conte». Tradotto: Matteo si scordi che noi possiamo accettare la proposta di un premier del Pd o del M5S.

L’altra condizione posta da Nicola Zingaretti e dai suoi emissari è questa: «Il Pd non è disponibile ad altre maggioranze con pezzi del centrodestra su nuove ipotesi di premier». Il tentativo è quello di ricondurre Renzi a miti consigli, dopo aver già convinto Conte a rinunciare allo scontro in Senato e a cedere sulla riscrittura del Recovery Plan, compresa la rinuncia al centro nazionale per la cyber security mal visto dal rottamatore di Rignano.

Il prossimo passo sarà convincere il premier a cedere a una persona di sua fiducia la delega ai servizi segreti, e così, pensano i dem, «avremo tolto a Renzi qualsiasi motivo reale per aprire la crisi. Si capirebbe che la sua è solo una mossa pretestuosa».

Dopo aver riunito la segreteria, Zingaretti fa uscire una nota in cui dosa con cautela le parole: parla di «rilancio dell’azione di governo», di «rafforzamento della maggioranza attorno al presidente Conte» e ribadisce l’esigenza di un «patto di legislatura». Poi aggiunge: «Rimaniamo contrari a posizioni politiche che risultano incomprensibili ai cittadini e che rischiano di destabilizzare la maggioranza di governo». No dunque a «rotture all’interno della maggioranza» perché al paese «va evitata una crisi dagli sviluppi davvero imprevedibili».

I dem, dunque, dopo aver condiviso nel merito anche se non nei toni alcune delle critiche di Renzi a Conte, e anzi rivendicando di aver posto per primi l’esigenza di un «salto di qualità nell’azione del governo», e dopo aver rimproverato per mesi Conte per aver lasciato «marcire troppi dossier», ora impugnano gli estintori. Timorosi che la «tigre Renzi» (questo il nomignolo che circola tra gli ex compagni di partito) una volta liberata per mostrare i denti al premier troppo accentratore, ora possa sfasciare tutto.

Il Piano A del Pd è convincere tutti a ritrovarsi sui contenuti, a partire dal nuovo Recovery Plan partorito dai ministri Roberto Gualtieri e Enzo Amendola dopo aver ascoltato i partiti, e andare avanti «senza crisi di governo», al massimo «con due o tre innesti chirurgici nella squadra» (si parla di Andrea Orlando e di Maria Elena Boschi o Ettore Rosato per Italia Viva), ma senza passare dalle dimissioni di Conte. «Un nuovo patto di maggioranza», lo definisce Goffredo Bettini, che si dice fiducioso sulla possibilità di «ricomporre le asprezze se le critiche non sono strumentali ma concrete».

C’è anche un Piano B, quello di una crisi lampo, «che duri al massimo due giorni», con Conte che si dimette e porta una nuova lista di ministri al Quirinale e si presenta alle Camere per la fiducia al suo terzo governo. Una strada che ai vertici del Pd non piace, perché richiederebbe un patto di ferro tra tutti i partner prima di partire, ma il tasso di sfiducia tra Conte e Renzi la renderebbe piena di insidie. E anche al Nazareno in pochi sono pronti a mettere la mano sul fuoco sull’ex segretario.

E tuttavia questo può essere un punto di caduta. Di più il Pd non è disposto a concedere. E a Renzi è stato detto chiaramente in queste ore: «Se l’obiettivo è lo scalpo di Conte sappia che non glielo concederemo». E non ci infileremo «in una crisi al buio che gli italiani non capirebbero in un momento in cui ancora non è chiaro quando riapriranno le scuole e la campagna sui vaccini non decolla», spiega più di una fonte Pd.

Per ora non ci sono altre subordinate. L’idea di cercare responsabili in Senato è stata congelata se non scartata e l’ipotesi di elezioni anticipate viene considerata «pericolosa per la credibilità del paese nel momento in cui l’Europa si è fidata di noi concedendo 209 miliardi da spendere subito e bene». Ma, avverte una fonte dem, «se si apre una crisi al buio, alle elezioni si rischia di arrivare anche senza volerlo. Rotolando».