La condanna di Berlusconi è una condanna drammatica, persino parecchio più dura, politicamente parlando, per il Pd: la condanna a consegnarsi al Pdl, alle scelte tattiche del partito fondato da un truffatore da ieri dichiarato. Il Pd si condanna in via definitiva alle convenienze di Silvio Berlusconi. Ieri, fino all’ora della sentenza, al Nazareno vigeva la consegna del silenzio. A sentenza letta e meditata per quasi un’ora, Guglielmo Epifani concede libertà di parola ai suoi. E non può fare diversamente visto che i dirigenti sono sparsi per le feste in giro per l’Italia, e certo i militanti fanno domande anche più dei giornalisti. Ma prima il segretario convoca i cronisti per erigere la linea Maginot del Pd: quella della Cassazione è una sentenza da «rispettare, applicare ed eseguire». Tradotto, la posizione del Pd non cambia: trattiene il fiato e si appella al cielo, ovvero al Pdl, sperando che le reazioni del Cavaliere e dei suoi restino nell’ambito della digeribilità e consentano ai democratici di mantenere l’appoggio al governo Letta.
Ma lo stomaco dei parlamentari democratici è ormai piuttosto forte. Certo la condanna di Berlusconi, spiega Epifani, è «un atto di grande rilevanza» e se al parlamento verrà chiesto di ratificare l’interdizione del Cavaliere, il Pd manterrà l’impegno a farlo. Per il resto il Pd aspetta e spera. Per una volta il gruppo parlamentare, quello che uno dei suoi candidati leader ha definito «il più grande gruppo misto della storia della Repubblica», parla con una voce sola. Il turco Matteo Orfini, dalle Marche, spiega: «Il nostro atteggiamento dipende da quello del Pdl. È chiaro che la sentenza chiude un ciclo politico per loro. Quanto a noi, governare con loro non è eccitante a prescindere dalla sentenza. Se sono in grado di iniziare un processo politico fuori dalle vicende giudiziarie del leader, il governo potrà andare avanti, altrimenti trarremo le conseguenze». Lo stesso dice il renziano Dario Nardella: «Il governo di pacificazione è nato non per risolvere i problemi giudiziari di Berlusconi ma i problemi del paese. Ho sempre ritenuto che Berlusconi vada battuto politicamente, mi auguro che il Pdl sia il primo ad avere questa posizione. Ma se da domani comincia la tiritera e la teatralizzazione di Berlusconi martire, sarà difficile non reagire…».
Da Palazzo Chigi nessun commento ufficiale, ma filtra lo stesso gesto – metaforico – delle dita incrociate: politica e giustizia restino separate e «non ci saranno terremoti». Ma così sarà ? Berlusconi e le sue colombe manterranno l’impegno a non scaricare le pistole politiche e mediatiche sul governo, come chiede solennemente anche il Colle più alto?
Questa, al Nazareno, è considerata la migliore delle ipotesi. Ma è quella che riconsegna il Pd alle contraddizioni interne ed esterne. Nichi Vendola, nel suo nuovo slancio contro le larghe intese alzo zero, attacca: «Dalla Cassazione è arrivato il sigillo alla caduta di autorevolezza di una classe dirigente. La questione morale riesplode in modo dirompente. Non è possibile immaginare che il Pd resti alleato del partito di Berlusconi». Una posizione in sintonia con «la pancia» del popolo democratico. E dall’interno, quanto tempo impiegherà Renzi per rimettere sulla graticola il governo e la maggioranza bersanian-franceschiniana che nel frattempo punta a rimandare il congresso? La stesura delle regole, saltata la data del 31 luglio, è affidata al «turco» di osservanza dalemiana Roberto Gualtieri, in combine con il bersaniano Davide Zoggia. Entro la prossima settimana i due dovrebbero partorire un testo di mediazione. Altrimenti la direzione si trasformerebbe in un bagno di sangue.
Se fino a ieri il Pd era appeso come un caciocavallo alla sentenza ora la condanna di Berlusconi restituisce i democratici ai loro dissensi. Vinta la partita della apertura dei gazebo per la elezione del leader (spetterebbe non solo agli iscritti ma anche a chi si dichiara elettore pd) , i renziani accetterebbero una forma di separazione fra premiership e leadership. A patto che però le candidature nazionali siano presentate prima dei congressi di circolo e provincia, per evitare l’effetto «anatra zoppa» ovvero un leader nazionale che non ha la maggioranza dei territori. Su questo l’intesa non c’è. «Se non c’è la crisi di governo, sul congresso non cambia nulla. Se invece c’è la crisi, vuol dire che faremo le primarie le faremo direttamente per il premier», ragiona Orfini. Tutto, a casa democratica, dipende ancora una volta dal Pdl.