Hanno parlato per un’ora di come dare ai romani un segnale forte di cambiamento e di come arrivare al rimpasto della giunta senza aprire il solito teatrino autolesionista su nomi e poltrone. La fase è delicata, e se le acque non si placano l’onda lunga capitolina potrebbe sommergere perfino Palazzo Chigi. Perciò il segretario del Pd di Roma, Lionello Cosentino, appena uscito dal faccia a faccia in Campidoglio col sindaco Ignazio Marino, la prende nel verso più politicamente corretto.

La vostra proposta per la nuova giunta?

Chiediamo al sindaco di ragionare insieme su come correggere le priorità dell’agenda di governo, visto l’aggravarsi della crisi economica e sociale in città. Prima si ragiona del merito e poi se serve si ripensa la giunta. Tenendo conto che la decisione finale spetta al sindaco.

Quindi nessun nome?

No… perché del rimpasto semmai ne parleremo dopo. Prima ragioniamo sul cambiamento effettivo di politica necessario. Perciò ho proposto a Marino, che ha accettato, di prendere parte ai lavori della conferenza programmatica per Roma che si terrà il 28 e il 29 al Teatro Quirino.

Qual è la colpa più grave di Marino?

Di Marino, della giunta ma anche del Pd romano. È una sottovalutazione di quanto la crisi sociale morda nelle periferie dopo sette anni di crisi economica che non vede sbocco. E quindi probabilmente l’attenzione anche preziosa che abbiamo avuto sul centro storico – il decoro urbano, la lotta all’abusivismo commerciale, ecc. – non sono in equilibrio con il ritardo di iniziative nelle periferie. E in questo quadro giudico anche fallimentari le politiche di welfare e sociali dell’amministrazione. Un vuoto di proposte e di idee. L’esplodere della crisi di Tor Sapienza non era inaspettata: le avvisaglie c’erano tutte, in altre periferie. Certo è una situazione che io giudico dipendere più della crisi economica e sociale che dall’amministrazione ma il sindaco deve esserne consapevole. Quando tagli 70 corse di autobus in periferia devi chiederti se in una situazione già precaria non stai facendo un danno peggiore del risparmio che ottieni.

Nella crisi vera si innestano però le campagne d’odio della destra…

Certo, li abbiamo visti all’opera. Proprio per questo lanciamo l’allarme a Ignazio e a noi stessi. Se non c’è una risposta rapida di politiche mirate, di sostegno all’occupazione, con un gioco di squadra tra comune e governo, le periferie possono essere il luogo dove questa destra corrotta e sfilacciata recupera invece un rapporto popolare. Perciò serve un cambio di visione politica che parta dalla condizione dei ceti popolari.

Ma il Pd da tempo si è ritirato dalle periferie dove cresce ormai spontanea l’ideologia di estrema destra. Cosa aspetta a tornare?

Questo è vero solo in parte. A Tor Sapienza, per esempio, un circolo del Pd esiste. Il Pd è l’unico partito che è dentro i territori, non c’è da ricostruire una rete. Il problema non è organizzativo ma di qualità dell’azione politica, che non è adeguata. Dopo sette anni di crisi, non vedere nessuna prospettiva di uscita rende meno credibile la politica. Roma, poi, è stremata più di altre città perché risente dei tagli e del crollo economico in due settori tradizionali del pil, il pubblico impiego allargato e l’edilizia. Il nostro è un richiamo anche per Renzi e per il Pd nazionale: in una crisi così complessa e difficile non è pensabile prevedere una manovra economica che punti alla ripresa con il taglio delle tasse senza alcuno strumento per il rilancio del welfare. Penso al lavoro che fece Fabrizio Barca sulla solidarietà territoriale, sugli interventi nei quartieri urbani: cose da rimettere in agenda subito.

Il Pd romano è stato però particolarmente duro con Marino, manca tra voi una certa empatia politica?

Non è il mio caso perché con Ignazio ho lavorato gomito a gomito per anni, però è vero che Marino rappresenta un po’ «l’impolitico», come nel saggio di Thomas Mann. Ma questo è anche il suo pregio e io lavoro perché le incomprensioni possano essere superate. Però a me non dispiace un partito dove si può litigare francamente sulle differenze, perché è utile. L’importante è avere chiaro che l’obiettivo non è far precipitare questa crisi o prendere atto del fallimento di Marino, che sarebbe un fallimento di tutta la sinistra romana. Ma provare invece rapidamente e con durezza e chiarezza a correggere quello che non va.

Ce la può fare Marino ad arrivare a fine mandato?

Sì, a condizione che non creda che sia solo un problema di comunicazione.

I consiglieri capitolini del Pd però non litigano solo con Marino. Ancora non hanno scelto il capogruppo. Qual è il problema?

Ah, bella domanda. Ho suggerito loro di riunirsi come in quel Conclave: di buttare la chiave e di decidere.