Il Nazareno non c’è più. È ufficiale, messo nero su bianco in una nota partorita dall’ufficio di presidenza azzurro: «Forza Italia sarà libera di valutare quanto proposto di volta in volta, senza alcun vincolo politico». È una rottura a metà, con portone lasciato aperto alla contrattazione «volta per volta», e ci pensa Toti a chiarirlo: «Mica siamo kamikaze. Le riforme sono nell’interesse del Paese». In realtà anche la versione Toti è più dura di quanto non avrebbe voluto Berlusconi. Per lui il patto non è affatto defunto, e scopo dell’intemerata, oltre allo sfogo, era solo mettere un freno a possibili modifiche della riforma elettorale dettate dalla sinistra Pd: in concreto a una variazione della proporzione tra eletti e nominati. Paure infondate. Ora che Renzi ha avuto dalla minoranza Pd quel che gli serviva non vede l’ora di disfarsene: l’uomo è fatto così.

Però a fingere di prendere sul serio la minaccia, e a rendere così la rottura molto più reale, è proprio Renzi, l’ex socio. Dirama ai suoi un ordine preciso, e quelli eseguono: «Picchiate duro». Parte la vicesegretaria Serracchiani, che con quella faccia da eterna bambina fresca d’oratorio sa essere fredda e feroce come un provetto serial killer: «Patto rotto: meglio così». Segue Lotti: «Ognuno per la sua strada. Contenti loro…». Boschi finge una pallidissima mediazione: «Noi andiamo avanti. Se Fi ci ripensa siamo qui». Il carico finale lo mette il capo in persona con il solito tweet: «Gli italiani avranno l’ultima parola con il referendum. E vedremo se sceglieranno noi o chi non vuole cambiare mai». Anche in questo caso, avendo ottenuto dal patto del Nazareno ciò che gli serviva, riforme e legge elettorale, il premier non vede l’ora di sbarazzarsi di un ex alleato diventato scomodo: l’uomo è fatto così.

Renzi può permettersi l’affondo perché Berlusconi non può, né vuole, votare contro le riforme in seconda lettura: gli costerebbe milioni di voti. Ma se può sfoderare il massimo pensabile d’arroganza è anche perché il pallottoliere è dalla sua parte. Alfano e Lupi, con il grosso dell’Ncd, sono tornati all’ovile. Molto per paura: sanno bene di essere politicamente inesistenti. Ma un po’ anche perché i segnali arrivati dalla loro scarna base dicono che Mattarella agli elettori dell’Ncd e dell’Udc piace: è pur sempre un democristiano. Ma soprattutto Renzi ha giocato l’intera partita del Nazareno e ancora gioca con nella manica un asso con le sembianze di Denis Verdini. Il toscanaccio è pronto a mollare Berlusconi, portandosi dietro un solido gruppetto di senatori. È stato proprio lui, nel corso del teso colloquio con Berlusconi di martedì pomeriggio, ad avvertire l’amicone. Chissà se Berlusconi si sarà reso conto di essere oggetto di una nemesi in piena regola. Verdini ha giocato la stessa parte che decenni fa toccò all’avvocato Cesare Previti nella torbida vicenda dell’acquisto a prezzi stracciati di Arcore. Ufficialmente Cesarone doveva rappresentare la marchesina Casati Stampa, in realtà faceva solo gli interessi di Berlusconi. Esattamente quel che ha fatto ora Verdini, rappresentando Berlusconi ma facendo in realtà solo gli interessi di Renzi.
Isolato, tradito e con le spalle al muro Berlusconi ha giocato a caldo la sola carta che gli restasse. I suoi deputati hanno rallentato quanto più possibile il percorso del milleproroghe. «È l’antipasto di quel che potrebbe avvenire sulle riforme», avverte il capogruppo azzurro in commissione Bilancio Rocco Palese. Ma è una minaccia spuntata: servirà tutt’alpiù ad alzare il prezzo delle trattative «volta per volta».
L’ennesima giornata nera di Berlusconi si deve, ancora una volta, allo stato di avanzata disgregazione del suo partito. I berlusconiani doc avevano provato per tutto il giorno ad allestire un’offensiva contro Verdini, senza di fatto riuscirci. In mattinata Fitto aveva chiesto l’azzeramento dei gruppi dirigenti, senza ottenerlo: solo Brunetta, nella riunione dell’Ufficio di presidenza disertata dallo stesso Fitto e da Capezzone, ha fatto il gesto di rassegnare le dimissioni, ma solo per vedersele respingere. Al vicerè pugliese, la sera prima, Berlusconi aveva offerto di entrare con qualcuno dei suoi nel gruppo dirigente, ed era convinto di averlo se non convinto almeno rabbonito. Invece, proprio mentre si svolgeva la riunione della presidenza, Fitto ha organizzato sui due piedi una conferenza stampa tra le più bellicose, che ha mandato fuori dai gangheri il capo.

In finale di partita, l’ex onnipotente si trova con Denis Verdini pronto a passare dall’altra parte, Fitto più che mai deciso a sfidarlo, la rinnovata alleanza con Alfano naufragata e comunque inutile, sotto il giogo di un Renzi spietato con i vinti. Per il grande affarista, il patto del Nazareno non è stato un buon affare.