C’erano anche loro alla COP21 di Parigi a spargere promesse e prendere impegni per salvare il Pianeta dalla piaga dei cambiamenti climatici. Eppure le compagnie assicuratrici continuano a predicare bene e a razzolare male, visto che non fanno mancare un considerevole contributo al comparto dei combustibili fossili, come racconta l’ultimo rapporto di Re:Common «Passo Falso».

Il rapporto è frutto dell’attualizzazione di uno studio realizzato dal Sunrise Project in collaborazione con varie realtà della società civile internazionale ed è stato lanciato in concomitanza con l’assemblea degli azionisti di Generali. Proprio il principale assicuratore italiano, insieme ad altri 10 dei 15 gruppi analizzati nella ricerca, gioca un ruolo di assoluta importanza nella realizzazione dei progetti estrattivi, il cui livello di rischio è notoriamente elevato. Sebbene in base ai dati a disposizione si sia potuto tracciare solo il 10% degli investimenti complessivi del gruppo, risulta che nel 2016 Generali abbia investito almeno 2,53 miliardi di euro nei combustibili fossili.

«Passo Falso» si concentra su alcuni casi, tra cui quello della Polonia che all’inizio del 2017 l’Agenzia Internazionale per l’Energia (Iea) ha etichettato come il Paese più inquinato d’Europa. Nel 2016 Generali ha investito almeno 33,8 milioni di dollari nella Polska Grupa Energetyczna (Pge), che produce l’85% della propria energia dal carbone, incluso un 30% dalla lignite, il più inquinante e di bassa qualità. Generali è quindi sponsor dell’espansione del peggiore carbone esistente all’interno dei confini europei, estratto nelle miniere di Bełchatów, tra le più grandi di lignite del vecchio continente, e quella di Turów, che ha pesantissimi impatti transfrontalieri con la Repubblica Ceca. E i danni non sono solo al clima. «Il 70% dell’acqua usata in Polonia finisce al comparto carbonifero», ha ricordato l’attivista polacco Kuba Gogolewski, intervenuto all’assemblea.

Rilevante anche il caso dell’utility statunitense Duke Energy, coinvolta in cause milionarie legate all’alto livello di inquinamento provocato dalle sue attività. Nel 2014, a causa della sua discussa gestione della polvere di carbone e soprattutto di un grosso sversamento nel fiume Dan, in North Carolina, la Duke Energy è stata accusata di negligenza, imperizia e violazione della normativa nazionale sui fiumi. Due anni dopo ha patteggiato sanzioni per oltre 100 milioni di dollari e si è assunta l’obbligo di svolgere servizi per le comunità impattate. La Duke ha stimato il costo delle bonifiche che deve affrontare in 4,5 miliardi di dollari. Un conto salato, che intende far pagare in parte alle compagnie assicuratrici che l’hanno sostenuta in questi anni, tra cui Generali, tutte citate in giudizio tre settimane fa. La società triestina ha quindi deciso di sfilarsi. «Da 100 milioni di euro di investimenti siamo passati a 6 milioni», ha riferito il presidente Gabriele Galateri in assemblea, incalzato dall’esponente del Waterkeeper Alliance Donna Lisenby.

Ma su politiche più organiche e un cambio di passo sui combustibili fossili Generali ha nicchiato. «Faremo un’analisi dell’impronta ecologica legata ai nostri investimenti efaremo un rapporto l’anno prossimo», ha proseguito Galateri.
Più confortanti le notizie che arrivano da Oltralpe. La più grande compagnia assicuratrice al mondo, la francese Axa, dal 2015 ha una politica specifica sui combustibili fossili e ha già disinvestito 500 milioni di euro dal carbone. E mercoledì, durante l’assemblea degli azionisti, ha annunciato un ulteriore impegno pubblico: non offrirà più la copertura assicurativa sulle proprietà e sui danni (se non in casi eccezionali) a società da cui ha disinvestito in quanto oltre il 50% delle loro entrate deriva dal carbone.