Il governo e la maggioranza non riescono a trovare una voce comune nemmeno sulle stime della Commissione Ue sui conti pubblici. Per il premier Conte quelle di Bruxelles sono «previsioni ingenerose, pregiudizi negativi». Per il ministro dell’Economia Tria, invece, le previsioni sono «in linea con le nostre». Per il vicepremier ministro dell’Interno Salvini: «L’Italia è ultima per crescita e per conti pubblici? Speriamo che anche questa previsione faccia la fine delle altre, sia sbagliata». Per il dioscuro Di Maio, vicepremier e doppio ministro al lavoro e sviluppo, «i numeri della Commissione Ue certifica che non siamo in recessione, mentre aveva detto che qui sarebbe arrivata la pioggia delle cavallette». A queste reazioni contraddittorie i Cinque Stelle delle commissioni bilancio e finanza della Camera ieri hanno aggiunto un po’ di pepe utile per confondere le acque e rendere digeribile la minestra: «L’obiettivo è chiaro, colpire un governo ostile ai diktat di Bruxelles e che vuole fare gli interessi degli italiani». Musica per la corsa disperata verso le elezioni europee del 26 maggio.

MA COSA È DAVVERO accaduto, perché tanto trambusto tra le prime e le seconde linee? Nelle previsioni di primavera, la Commissione Ue ha evidenziato quello che già il governo con il Def, e poi di recente l’Istat, hanno confermato: esiste una «crescita sommessa» che porterà all’aumento del deficit e del debito pubblico. Rispetto alle previsioni del governo c’è una novità da registrare: Bruxelles stima un’impennata del debito a 133,7% del pil quest’anno e al 135,2% il prossimo. È il livello più alto della storia repubblicana. In autunno la stima era di 131% e 131,1%. Il deficit sale a 2,5% nel 2019 e 3,5% nel 2020. Quest’ultima stima non comprende l’attivazione delle clausole di salvaguardia, l’aumento dell’Iva ora previsto dal Def, ma che Lega e Cinque Stelle intendono scongiurare, anche se al momento non dicono in quale modo. La previsione sulla crescita non è affatto una mazzata. Al contrario, è quello che prevede lo stesso governo. La crescita del Pil reale attesa dalla commissione allo 0,1% nel 2018 e allo 0,7% nel 2019, rispetto allo 0,2% e allo 0,8 per cento delle stime programmatiche nel Def del governo è dovuta al fatto che la Commissione ragiona sulle politiche invariate, mentre il governo sulla legislazione invariata. «Comunque – ha precisato Tria – tra quattro mesi le previsioni politiche ed economiche finiranno per ricongiungersi». E, com’è già accaduto con il Def è molto probabile che il governo dovrà dare ancora una volta ragione ai custodi della sua austerità. «Sul deficit del 2020 – ha aggiunto Tria . le previsioni mi paiono più politiche che economiche». In effetti il governo pensa che si ridurrà al 2,1% nel 2020 e all’1,8% nel 2021. Ma ci sono ancora quattro mesi per cambiare idea. E fare convergere l’economia di Tria con la politica della Commissione.

NELL’ATTESA possiamo ricordare l’anno più pazzo delle stime economiche. La prima stima del governo prevedeva una crescita per il 2019 dell’1,5%. Era il tempo in cui Di Maio e compagnia salivano sul balcone di Palazzo Chigi per celebrare l’«abolizione della povertà», ipotizzando uno spettacolare rilancio keynesiano che avrebbe cambiato il senso della storia. Ripercorrendo la storia ieri il Commissario agli affari economici Pierre Moscovici ha ricordato che «la previsione di crescita è stata ridotta all’1% ed è su quella base che abbiamo concluso un accordo con il governo italiano». Entrambi hanno sbagliato, e di molto. Ad aprile la crescita è stata brutalmente ridotta allo 0,2%. Ora è allo 0,1%. Non è escluso che possa andare sotto. Al momento è certo che la crisi interna (non dovuta solo a elementi esogeni) restituisce la frattura tra l’economia italiana e quella Ue: la crescita stimata di quest’ultima è l’1,2%, vale a dire 1,1% superiore di quella italiana.

IL GOVERNO SI AGGRAPPA alla scialuppa del «decreto crescita» e dello «sblocca cantieri» che dovrebbero produrre «una crescita speriamo sostenuta» ha detto Conte, lo stesso che aveva profetizzato l’«anno bellissimo» e la «ripresa incredibile» nel «secondo semestre» dell’anno. In realtà, lo stesso governo non prevede il balzo di tigre e stima aumenti modesti da questi incerti provvedimenti che avanzano faticosamente .

LA SECONDA SPERANZA dei gialloverdi è che le elezioni portino a una maggioranza nell’Europarlamento che condivida una stima sul debito al 3,5%. È una illusione che, al momento, i populisti non dicono al loro «popolo». Sempre che sia possibile un tale rovescio, dovranno superare lo sbarramento dei governi più ferocemente austeritari. Resta la possibilità di aumentare l’Iva e un taglio al «reddito di cittadinanza» e a «quota 100». Un suggerimento, quello della Commissione, che non sarà mai accolto dai pentaleghisti. Prossima puntata il 5 giugno quando Bruxelles valuterà le misure prese in queste settimane dal governo. Quanto al debito potrebbe partire una lettera diretta al governo dove si chiedono spiegazioni dell’aumento record. E, così si resta, in mezzo al guado almeno fino all’autunno. La Commissione Ue scade il 31 ottobre. Il governo, forse, può sopravvivergli.