«Se Conte si dimette, implode il Movimento 5 Stelle. E il parlamento diventa un formicaio impazzito». Questa formula ormai da giorni circolava dentro e fuori il governo. Era uno schema in qualche modo fungeva da forza che trattiene: «È possibile solo allargare questa maggioranza, non si possono concedere spazi all’imprevisto», era la conseguenza logica. Adesso quegli spazi si stanno per aprire. Conte prova a traghettare sé stesso e la maggioranza verso il prossimo governo. E i 5 Stelle temono di essere ostaggio di troppe variabili, eventi che non controllano.

La giornata in cui per la prima volta ammettono a voce alta che «una fase di è chiusa» comincia con la convocazione dell’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari. Ma quella riunione non si terrà mai. Il M5S si prende altre 24 ore prima di capire se andare «Avanti con Conte». A tutti i costi?
«Il passaggio per il cosiddetto Conte ter è ormai inevitabile ed è l’unico sbocco di questa crisi scellerata. Un passaggio necessario all’allargamento della maggioranza». Con queste parole Ettore Licheri e Davide Crippa, i capigruppo al senato e alla camera, annunciano che la linea è cambiata: il presidente è pronto a dimettersi e aprire formalmente la crisi.

Lo scenario confuso nella forza principale della (ex) maggioranza torna in primo piano, caduta la posizione di facciata che si era andata dei giorni precedenti. Si era trattato di una concatenazione di vincoli, di una cascata di condizioni che hanno posto il premier (e il M5S) in un vicolo cieco. La scelta di legare i destini de M5S a quelli di Conte aveva comportato automaticamente il rifiuto di di prendere in considerazione ogni dimissione e ogni possibilità di un Conte Ter. Da questa posizione era derivata la scelta netta di chiudere a ogni dialogo con Matteo Renzi. Tra i parlamentari c’erano dubbi e paure sin da subito, ma questa strategia confidava nella rassicurazione di Palazzo Chigi: i cosiddetti «responsabili» sarebbero venuti fuori. Anzi, il loro ingresso in maggioranza sarebbe stato occasione per liberarsi della zavorra renziana e marciare ancora più spediti verso la gestione del Recovery fund. Come è ormai evidente, ciò non è avvenuto. I responsabili non sono apparsi e la defezione ha comportato lo sgretolamento delle garanzie fornite dai vertici grillini ai gruppi parlamentari.

Il che, tuttavia, non ha impedito che nelle ore precedenti le dimissioni di Conte aggiungesse un elemento ulteriore di rigidità e di limitazione ai propri spazi di manovra. È successo domenica, quando prima Luigi Di Maio e poi tutti i vertici si sono schierati accanto ad Alfonso Bonafede, il ministro della giustizia e capodelegazione grillino nel governo che va incontro alla bocciatura al senato. Il voto sulla relazione del guardasigilli formalmente non equivale alla questione di fiducia, per questo Conte nelle ultime ore aveva provato a sminarlo in tutti i modi: alleggerendone i tratti giustizialisti, sganciandolo dalle sorti della maggioranza, ipotizzando persino la rimozione del ministro. Operazioni delicate e magari velleitarie, che paradossalmente mostrano la loro debolezza quando Di Maio lancia sui social la foto che lo vede abbracciato a Bonafede e diffonde lo slogan «Uniti e compatti».

L’ostentazione petto in fuori di fermezza, l’ennesima, arriva nelle ore in cui il cambiamento di fase va maturando. È una mossa talmente ingenua da far nascere dubbi sulle reali intenzioni del ministro degli esteri. Come mai dopo tanta cautela si è esposto proprio alla vigilia del crollo accanto al ministro più debole? Il sospetto è che abbia deciso di rimettere al centro Bonafede per colpire Conte e riazzerare la partita, rimettere il M5S al centro, svincolandolo dal presidente del consiglio dimissionario.

Anche Vito Crimi usa un altro registro. Il M5S cambia la sua narrazione: il «partito di Conte», base parlamentare decisiva per la sua permanenza a Palazzo Chigi, adesso rivendica la sua centralità a prescindere. «Siamo la colonna portante di questa legislatura. Come sempre ci assumeremo le nostre responsabilità, avendo come riferimento il bene dei cittadini, e ci faremo garanti dei passaggi delicati che attendono la nostra Repubblica», dice il reggente grillino mentre convoca i ministri del M5S per un vertice propedeutico a quello con Conte. «Noi restiamo al fianco di Conte – assicurano i capigruppo – Continueremo a coltivare esclusivamente l’interesse dei cittadini, puntiamo a uscire nel più breve tempo possibile da questa situazione di incertezza che non aiuta. Dobbiamo correre sul Recovery, seguire il piano vaccinazioni, procedere ai ristori per le aziende più danneggiate dalla pandemia». Ma a questo punto non c’è nulla di garantito.