Tre amici bevono vodka su un carro funebre appoggiando i bicchieri di plastica sulla bara che viene trasportata: con una scena comico grottesca che sembra uscita dal geniale «Le dodici sedie» di Il’f e Petrov, comincia il romanzo del giovanissimo Aleksej Sal’nikov. Dopo un esordio come poeta, l’autore russo è alla sua prima opera narrativa, pubblicata nel 2017 e ora uscita da Brioschi, con il titolo La febbre dei Petrov e altri accidenti (traduzione di Leonardo Pignataro, pp. 390, € 20,00). All’enorme risonanza ottenuta in Russia, è seguita la divisione della critica tra chi ne lamenta la superflua lunghezza e chi vi legge un segno della rinascita della letteratura russa contemporanea.

Il febbricitante protagonista Petrov insieme all’enigmatico e demoniaco Igor’ bevono, discutono di politica e della vita nella profonda provincia. Fa da sfondo la grigia, squallida e difficile cittadina di Ekaterinburg in cui le rovine dello Stato Sovietico non sono affatto cancellate, anzi si impongono in tutta la loro invadenza.

La vita del periodo sovietico e i suoi realia sono così ingombranti, anche se solo nel ricordo del protagonista, che spesso si fondono col presente e non se ne distinguono. Così è, in effetti, la provincia russa, nonostante qualche critico sembri dimenticarlo; ciò che invece ha riscosso un riconoscimento corale è la qualità stilistica della prosa di Sal’nikov, la lingua colta e raffinata, densa di originali rimandi intertestuali ai classici russi (da Dostoevskij, Cechov e Puškin a Limonov e Nabokov). Inoltre, riflessioni sulla letteratura e sulla scrittura, animano questa trama di cui è protagonista Petrov, giovane meccanico affetto da febbre, che presto contagerà la sua famiglia, composta dalla moglie e dal figlio, entrambi privi di nomi.

L’alterazione febbrile provoca comportamenti assurdi nei membri della famiglia, in una continua combinazione di comicità e disperazione, resa attraverso l’espediente del delirio febbrile che, descrivendo desideri e frustrazioni dei vari personaggi, dà rappresentazione a una intera generazione lontana dai centri delle capitali. Petrov si sente continuamente inadeguato, non ha la prontezza di reagire e i momenti imbarazzanti della infanzia tornano alla memoria «come se fosse stata inserita una diapositiva nel cervello».

Il suo disagio è esaltato dallo squallore dell’ambiente che lo circonda, l’androne del palazzo in cui vive che puzza di piscio e di alcol, con le scale rotte da sempre e il fetido ascensore pieno di graffiti osceni. Petrov non ha ambizioni quindi non prova delusioni: ascoltare dagli altri che egli è una nullità lo ha abituato ad esserlo,«e la cosa non lo infastidiva più di tanto». Assiste straniato a tutto ciò che gli accade e come conclude il suo amico filosofo, alla fin fine, tutti coloro che lo circondano non «non vogliono altro che stare a vedere come tutto questo andrà a finire nel cesso».