Il Parlamento europeo, la Commissione Ue e la presidenza del Consiglio Europeo hanno raggiunto un compromesso sulle linee guida per un accordo sul prossimo Quadro finanziario dei prossimi sette anni e sulle risorse proprie del bilancio. A questa intesa il parlamento aveva condizionato nel luglio scorso il consenso al piano «Next Generation Ue» da 750 miliardi al quale la Commissione Europea ha affidato l’auspicio di una «ripresa» («Recovery») dai danni inferti all’economia capitalistica dalla pandemia del Covid.
Si tratta di una cifra complessiva pari a 16 miliardi di euro in più oltre le risorse già previste dal bilancio:1074,3 miliardi. Undici miliardi saranno finanziati con i fondi accantonati dalle multe comminate dall’Antitrust europea e andranno alla ricerca in precedenza tagliata (4 miliardi in più, per un totale di 84,9 miliardi); il fondo Invest-Eu passa a 9,4 miliardi dagli 8,4 previsti a luglio dall’accordo tra i governi; il programma Erasmus plus passa da 21,2 a 23,4 miliardi; la sanità (EU4Health) aumenta da 1,7 a 5,1 miliardi di euro.

Questi aumenti in fondo modesti sono stati ritenuti sufficienti per evitare di arretrare rispetto al livello di finanziamento precedenti. A parere dei gruppi maggioritari in parlamento l’intesa raggiunta precedentemente avrebbe messo a repentaglio il Green Deal e l’agenda digitale. «Un ottimo risultato per in cittadini» ha commentato il presidente del parlamento Ue David Sassoli. «Ora dobbiamo procedere con la finalizzazione dell’accordo sul prossimo bilancio a lungo termine e su Next Generation Eu entro fine anno» ha detto la presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen. Per il ministro per gli Affari europei Enzo Amendola l’accordo di ieri sul bilancio definisce il quadro generale e la cornice economica del Next Generation Eu».

L’accordo di ieri ha eliminato uno ostacolo, ma la strada per l’approvazione del bilancio europeo, e dunque della ratifica del fondo per la ripresa, è ancora lunga. Le difficoltà sono tutte politiche e non proprio di secondo piano. Riguardano il fronte di Visegrad capeggiato dai polacchi e dagli ungheresi che hanno il potere di veto sul bilancio e, quindi, automaticamente sulla partenza del fondo europeo anti-crisi. Le prime avvisaglie di una vera e propria crisi politica sono emerse già la settimana scorsa, quando il parlamento, la commissione e il consiglio europeo hanno raggiunto l’intesa sul rapporto tra il rispetto dello stato di diritto e il riconoscimento dei fondi provenienti dal bilancio europeo.

Il capo del governo ungherese Viktor Orban si è posto alla testa dell’opposizione a questo accordo minacciando in una lettera di fermare tutto con un veto. Lo scontro è serio. E ci chiede perché il parlamento e la Commissione non usino la stessa determinazione con l’Italia per ottenere un cambiamento radicale nelle carceri, ad esempio.

Lo scontro con Polonia e Ungheria potrebbe portare a compromessi al ribasso, oltre a un rinvio di mesi nel 2021 per l’arrivo dei primi 20 miliardi di euro (sui 209 complessivi, 750 in tutto) del «Recovery Fund» annunciati dal commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni all’Italia. Un paese dove questi programmi di investimento sono stati presentati come una manna che dovrebbe fare rifiorire il deserto della crisi. Questi auspici di solito sottovalutano la storica incapacità italiana di spendere le risorse normali stanziate nel bilancio Ue. Il problema rischia di essere peggiorato dalle nuove condizionalità imposte dalla Commissione Ue: se i fondi non saranno spesi, saranno ritirati. I dati sono stati presentati ieri dalla magistratura contabile europea in una relazione sul bilancio Ue 2019: l’Italia aveva impiegato solo il 30,7% dei fondi strutturali assegnati per il periodo 2014-2020. Un dato sostanzialmente invariato rispetto al 2012 e nettamente inferiore alla media Ue del 40%. L’Italia è ultima in Europa. Un dato sottovalutato drammaticamente nella surreale attesa della «ripresa».