A sera, dopo l’ennesima dichiarazione che arruolava la presidente Marta Cartabia al plotone, in crescita, dei critici del presidente del Consiglio, l’ufficio stampa della Corte costituzionale è dovuto intervenire per definire «fuorviante e non veritiera una lettura delle parole della presidente riferita alle vicende politiche di questi giorni». La relazione di Cartabia sul lavoro della Consulta nel 2019, com’è naturale, ha diversi spunti che si prestano all’interpretazione della (complicata) fase, compresa una parte finale sul diritto in emergenza. Ma era prevista per una cerimonia, annullata, del 9 aprile e le riflessioni sul dovere di leale collaborazione tra istituzioni dello stato, si fa notare, «fanno parte da sempre del pensiero accademico della professoressa Cartabia».

Forze politiche e singoli parlamentari, di opposizione ma anche di maggioranza avevano trovato nelle riflessioni della presidente della Consulta argomenti in favore del loro malessere. L’eccesso di decreti del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) innanzitutto, atti sconosciuti al parlamento utilizzati adesso anche per il passaggio di fase (da uno a due). L’insistenza di Cartabia per la leale collaborazione tra le istituzioni è sembrata a molti una richiesta di parlamentarizzare la gestione dell’emergenza. Con l’argomento forte che il sacrificio dei diritti fondamentali (perdurante in fase 2) deve prima o poi passare per un voto delle camere. «La nostra Costituzione non contempla un diritto speciale per lo stato di emergenza», scrive Cartabia, e ricorda come per casi «di necessità e urgenza» siano previsti i decreti legge (che a differenza dei Dpcm vanno convertiti o perdono di efficacia). La Costituzione «è la bussola», ricorda la presidente, e i confini della navigazione sono chiaramente indicati dalla giurisprudenza costituzionale. «Necessità, proporzionalità, bilanciamento, giustiziabilità e temporaneità» sono i criteri con i quali valutare i provvedimenti che introducono limitazioni delle libertà. Ed è un elenco che va tenuto presente ricordando che il primo decreto (23 febbraio) poi corretto (19 marzo) non metteva limiti temporali allo stato di emergenza. E che diversi divieti si contraddicono (sì alle corse no alle passeggiate) o in alcune aree del paese appaiono eccessivi rispetto alla diffusione del contagio.

«Se c’è un principio costituzionale che merita particolare enfasi e particolare attenzione è proprio quello della leale collaborazione, il risvolto istituzionale della solidarietà», scrive Cartabia nelle ultime righe della relazione. Riferita o meno che fosse al rapporto governo-parlamento, la sottolineatura vale certamente per il rapporto stato-regioni. In altre parole la «tirata d’orecchi» che Forza Italia vede al governo, è certamente riferibile ai presidenti di regione che hanno travolto i limiti – abbastanza ampi – previsti nei decreti per emettere continue ordinanze in difformità dalle regole nazionali.

L’esigenza di riportare il confronto sulla gestione dell’emergenza in parlamento era già leggibile dietro i continui inviti del presidente della Repubblica alla collaborazione. Adesso anche in parlamento aumenta il disagio, la lettera di 67 deputati al presidente Fico perché sia assicurate una piena funzionalità alla camera ne è un segnale. L’attacco di Renzi a Conte perché «calpesta la Costituzione» può forse ascriversi alla politica di logoramento che Iv porta avanti da tempo. L’uscita della presidente del senato Casellati, Forza Italia, è assai rumorosa: «Il parlamento è escluso dalle scelte future». Ma le critiche all’eccesso di Dpcm adesso arrivano anche dal Pd. La sensazione di lavorare a vuoto è tangibile. Solo oggi, con la fase 2 dietro l’angolo, arriva in aula a Montecitorio l’ultimo decreto della fase 1. E il deputato Pd Ceccanti presenta un emendamento che il governo non potrà ignorare nel quale si introduce l’obbligo di acquisire sui Dpcm il parere, non vincolante, della camere. Il deputato radicale di + Europa Magi vuole invece correggere il testo per prevedere che «a partire dal 4 Maggio sia garantito l’esercizio della libertà personale, delle libertà di circolazione e di soggiorno e di riunione e manifestazione». Al governo e alle sue ordinanze resterebbe il compito di disciplinare le modalità, cioè le misure di sicurezza obbligatorie.

Una quota parte di queste frustrazioni parlamentari va ascritta alle pesanti limitazioni dei lavori; allo slogan secondo il quale le camere non si sono mai fermate non crede più nessuno. Non si contano gli emendamenti cancellati, i voti di fiducia resi obbligatori dalla necessità di limitare le sedute d’aula, le presenze contingentate per la paura del contagio (ieri l’ultimo caso di deputato positivo), le sedute a distanza bloccate dai collegamenti che non funzionano (ancora ieri in commissione bilancio). Se il parlamento è finito nell’angolo non tutte le colpe sono del governo.