I vivi hanno afferrato, di nuovo, i morti. Quei morti, che generazioni di archeologi avevano faticosamente riportato alla luce e alla coscienza dei contemporanei sono stati, di nuovo, ricacciati sotto terra, anzi sott’acqua, risospinti nell’oblio.

È BASTATO CHE PIOVESSE un po’ di più perché si allagasse, come era già avvenuto nel gennaio del 2013, uno dei più importanti siti archeologici della Calabria e dell’intera umanità, il sito delle tre città antiche sovrapposte: Sibari, Thuri e Copia.
Il Parco archeologico di Sibari, così come quelli di tutta Italia, soffre di una ormai cronica assenza di ordinaria manutenzione, quella quotidiana attività che rendeva decorosi, visitabili e valorizzati i nostri beni della cultura. Il caso di Sibari è ancora più emblematico dell’assenza di manutenzione perché, a seguito della devastante alluvione del gennaio 2013 provocata dall’esondazione del Crati, sono stati spesi ben 18 milioni di euro per mettere in sicurezza idrogeologica il sito grazie a trincee drenanti, per costruire nuovi edifici per l’accoglienza turistica, per costruire e arredare magazzini e sale del Museo, per rafforzare gli argini del fiume e per aprire nuovi scavi archeologici, ma non sono stati resi disponibili finanziamenti sufficienti, in spesa corrente annua, per la manutenzione del Parco. Bisogna rimarcare che il sito di Sibari necessita, più di altri, di assidua e attenta manutenzione perché è interessato da una consistente risalita di acqua a causa di una falda freatica e perché le strutture antiche, nel Parco del Cavallo, si trovano a circa 4 metri sotto il piano attuale di campagna e a poche decine di metri dalla riva sinistra del Crati.

SE PRIMA DELL’ALLUVIONE del 2013 a tenere più o meno all’asciutto le strutture e i monumenti dalla falda freatica sono stati i Wellpoints, pompe idrovore, da tre anni a questa parte, grazie ai copiosi finanziamenti, sono state messe in opera alcune innovative trincee drenanti, costate ben 4 milioni di euro. Secondo le lodevoli intenzioni dei progettisti queste trincee avrebbero dovuto risolvere, in maniera definitiva, non solo i problemi di risalita di acqua dalla falda, ma anche quelli dello smaltimento di acqua piovana e di scorrimento. Bisogna rimarcare che queste trincee sono state praticate intorno al Parco archeologico costringendo non solo a praticare alcuni scavi archeologici d’emergenza, del tutto fuori luogo in un sito così importante, ma anche a costruire alcuni serbatoi che sono stati improvvidamente collocati, dopo altri scavi dei quali non si sentiva alcun bisogno, sotto le antiche strade della città, le plateiai.

È BASTATO CHE L’UNICA centralina elettrica saltasse a causa di un fulmine perché le pompe dei serbatoi smettessero di smaltire l’acqua in eccesso con l’ovvia conseguenza che «Parco del Cavallo» si è riempito di un metro di acqua rendendo, peraltro, impossibile l’accesso ai serbatoi collocati sotto la sede stradale antica. Il compito di riportare le strutture del Parco archeologico spetta, ora, ai vecchi, ed energeticamente inefficienti, Wellpoints che, per fortuna, non erano stati definitivamente rimossi. Impiegheranno ancora qualche giorno per riportare, di nuovo, interamente alla luce le strutture antiche, ma lo faranno, come hanno fatto per quasi 50 anni.

CON LE TRINCEE DRENANTI si voleva, al costo di più di 4 milioni di euro, risolvere definitivamente il problema dismettendo i Wellpoints il cui funzionamento e manutenzione erano costosissimi, ma ormai collaudati tanto che il Parco non si era mai allagato a causa di un loro malfunzionamento, ma solo a seguito dell’esondazione del Crati. Se ne deduce che quei 4 milioni, invece di essere impiegati in trincee e serbatoi inefficaci, avrebbero sicuramente potuto rendere più efficienti, economici e non inquinanti i Wellpoints e mettere in sicurezza definitiva gli argini del Crati.

NEL CASO DI SIBARI il problema o, meglio, la mancata risoluzione del problema è da rintracciarsi sia nell’azione tecnico-scientifica di attenuazione del rischio adottata che si è rivelata essere costosissima e inadatta, sia nell’assenza di spesa per l’ordinaria manutenzione che è, quest’ultima, assente in tutta l’Italia. Non pare proprio che il governo gialloverde si sia, finora, concretamente impegnato a garantire una maggiore tutela, manutenzione e conservazione del nostro Patrimonio, ma sembra, anzi, che questo straordinario, multiforme e complesso portato storico sia considerato un gravoso impaccio e non una eredità della quale bisogna esser degni.