«La destinazione universale dei beni non è un ornamento discorsivo della dottrina sociale della Chiesa. È una realtà antecedente alla proprietà privata. La proprietà, in modo particolare quando tocca le risorse naturali, dev’essere sempre in funzione dei bisogni dei popoli. Non basta lasciare cadere alcune gocce quando i poveri agitano questo bicchiere che mai si versa da solo. Si tratta di restituire ai poveri e ai popoli ciò che appartiene a loro».

Sono queste alcune delle parole più forti del discorso pronunciato da Papa Francesco al Secondo Incontro mondiale dei movimenti popolari in Bolivia.

Un appuntamento atteso da mesi dai cartoneros, dai senza terra e dai gruppi che hanno animato la rivolta dell’acqua di Cochabamba; un incontro che è stato preceduto da quello con il presidente Morales, simbolo della riscossa indios e interprete del «socialismo del XXI secolo».
Su questo giornale il viaggio di Bergoglio è stato raccontato e analizzato nelle sue implicazioni politiche latinoamericane. Allargando la prospettiva alla luce del successo planetario dell’ultima enciclica, la forza del messaggio del Papa sembra consistere nella capacità di andare ben oltre i confini della Chiesa e delle organizzazioni gravitanti attorno ad essa e di parlare all’intera società occidentale.
Quest’ultima, per dirla con Habermas e con il sociologo José Casanova, sta vivendo oggi la stagione del «post-secolare»: una sorta di seconda «età assiale», in cui il Religioso è tornato a fornire contenuti semantici al Politico.
In quest’ottica è possibile spiegare l’interesse crescente attorno alla figura dell’attuale pontefice: un religioso che predica il Cristo risorto a un mondo convinto di aver risolto da tempo la questione di Dio e che pure ai suoi rappresentanti sulla terra è tornato a rivolgersi in cerca d’identità.

A sinistra, in particolare, il vuoto lasciato dalla crisi del marxismo spinge ormai da decenni alla ricerca di un antidoto al pensiero debole e alla subalternità politica al neo-liberismo. Anche per questo, da più parti si guarda alla ribellione greca al diktat della troika come a una storia di riscatto entusiasmante per coloro che auspicano un «contagio politico» e una ripresa delle parole d’ordine di quel «movimento dei movimenti» da cui proviene anche il premier greco Tsipras.

Come è noto, Papa Francesco non è un teologo della liberazione, almeno non in senso tradizionale, ma come gli ha riconosciuto anche Leonardo Boff sembra collocarsi perfettamente in quel percorso che dal Forum sociale di Porto Alegre porta a Genova 2001 e alle lotte per i beni comuni.
Quando afferma che «la casa comune viene oggi saccheggiata, devastata, umiliata impunemente» e che «la codardia nel difenderla è un peccato grave», Bergoglio non si limita, si fa per dire, a riscrivere il catechismo della Chiesa cattolica secondo le priorità dell’eco-teologia di Moltmann, ma avanza in un terreno d’incontro con tutti gli uomini impegnati per il cambiamento. Quando denuncia «alcuni trattati chiamati “di libero commercio” e l’imposizione di mezzi di “austerità” che aggiustano sempre la cinta dei lavoratori e dei poveri», si lascia alle spalle la tradizione della carità integrata nel sistema – quella che chiama con disprezzo «l’indignazione elegante» – e mette, nero su bianco, i problemi della «globalizzazione di mercati e dell’indifferenza».

No, non era mai successo di ascoltare un Papa attaccare la violenza delle banche, chiamare alla lotta sociale per il salario minimo e proporsi come un vettore del cambiamento sociale. Ecco allora che se davvero a sinistra si vuole una contaminazione politica e culturale costruttiva, questa non può passare per la ricerca di un generico senso di civiltà, come invece è accaduto negli anni della sposalizio con la campagna ratzingeriana contro la «deriva antropologica».

L’entusiasmo per la pastorale di Papa Francesco, per il suo discorso credibile e creduto, non deve neppure comportare la rimozione degli aspetti indigeribili della riflessione sull’«ecologia umana», sul gender e sulla laicità dello Stato in materia di biopolitica e diritti.
Per restare all’interno del ragionamento del pontefice, il cambiamento è nelle mani dei popoli, nelle lotte per l’acqua, nella disattivazione francescana dell’ingiustizia proprietaria e nelle pratiche di commoning.

La lezione più importante che Francesco ha impartito con quest’ultimo discorso ai movimenti sociali riguarda dunque soprattutto il metodo.
Anche il Papa, sua santità, sente oggi di dover scendere dal suo trono per «accompagnare i popoli nella loro capacità di organizzarsi», per mettersi dietro al proprio gregge come un compagno di viaggio prima ancora che come pastore.