Quella di ieri, interamente dedicata alla «riconciliazione», è stata la giornata centrale del viaggio di papa Francesco in Colombia.

Tre appuntamenti a Villavicencio – la messa sulla spianata di Catama, poi il grande incontro di preghiera per la riconciliazione nazionale, infine la sosta alla croce della riconciliazione – per sostenere il fragile e controverso accordo di pace firmato l’anno scorso, con la decisiva mediazione di Raúl Castro, fra governo centrale e Farc (bocciato da un referendum popolare per poche migliaia di voti, poi modificato e approvato dal Parlamento) e quello, per ora temporaneo, siglato con l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), dopo un conflitto durato più di mezzo secolo.

Un negoziato sul quale la Santa sede ha investito direttamente (il segretario di Stato, card. Parolin, era presente alla firma degli accordi di Cartagena de Indias nel settembre 2016) e il cui esito positivo era stato posto come condizione per la visita del papa. L’accordo è stato parzialmente raggiunto: le Farc hanno concordato la fine delle ostilità e si sono trasformate in una forza politica parlamentare, l’Eln sta ancora trattando, intanto ha firmato un cessate il fuoco a tempo determinato, che potrebbe diventare definitivo. Ma le gambe che reggono la pace sono ancora fragili, tanto che il pontefice, nell’omelia della messa a Catama – a cui, secondo Bogotà, hanno partecipato quattrocentomila persone e durante la quale sono stati beatificati e dichiarati martiri un prete e un vescovo, quest’ultimo ucciso dall’Eln nel 1989 – ha sottolineato che «riconciliazione» non significa «adattarsi a situazioni di ingiustizia».

«Riconciliazione non è una parola che dobbiamo considerare astratta; se fosse così, porterebbe solo sterilità e maggiore distanza», ha detto papa Francesco.

«Riconciliarsi è aprire una porta a tutte e ciascuna delle persone che hanno vissuto la drammatica realtà del conflitto. Quando le vittime vincono la comprensibile tentazione della vendetta diventano i protagonisti più credibili dei processi di costruzione della pace. Bisogna che alcuni abbiano il coraggio di fare il primo passo». Ma tutto ciò, ha aggiunto il pontefice, «non significa disconoscere o dissimulare le differenze e i conflitti», non vuol dire «legittimare le ingiustizie personali o strutturali. Il ricorso alla riconciliazione concreta non può servire per adattarsi a situazioni di ingiustizia». Quindi, ha concluso, «la riconciliazione si concretizza e si consolida con il contributo di tutti, permette di costruire il futuro e fa crescere la speranza. Ogni sforzo di pace senza un impegno sincero di riconciliazione sarà sempre un fallimento».

Dopo la messa, quando in Italia era notte – troppo tardi per darne conto -, si è svolto l’incontro di preghiera per la riconciliazione nazionale. Oggi e domani le ultime due tappe del viaggio del papa, a Medellin e Cartagena, dai contenuti maggiormente pastorali. Lunedì il rientro a Roma.