Roma resti «città aperta e ospitale», sia «città dei ponti, mai dei muri!». È l’appello che papa Francesco, ieri mattina in visita in Campidoglio, ha lasciato all’amministrazione capitolina e all’intera cittadinanza.

«Roma – ha detto il pontefice, che è prima di tutto vescovo di Roma, nel suo discorso nell’aula Giulio Cesare, dove abitualmente si riunisce il consiglio comunale -, lungo i suoi quasi 2.800 anni di storia, ha saputo accogliere e integrare diverse popolazioni e persone provenienti da ogni parte del mondo, appartenenti alle più varie categorie sociali ed economiche, senza annullarne le legittime differenze, senza umiliare o schiacciare le rispettive peculiari caratteristiche e identità. Piuttosto ha prestato a ciascuna di esse quel terreno fertile, quell’humus adatto a far emergere il meglio di ognuna e a dar forma, nel reciproco dialogo, a nuove identità».

Un ruolo e una missione che la città non deve perdere, auspica il papa: «Roma si mantenga all’altezza dei suoi compiti e della sua storia», «sappia anche nelle mutate circostanze odierne essere faro di civiltà e maestra di accoglienza», «non perda la saggezza che si manifesta nella capacità di integrare e far sentire ciascuno partecipe a pieno titolo di un destino comune».
Francesco è il quarto pontefice a salire in Campidoglio da quando Roma è la capitale d’Italia. Prima di lui c’erano stati Benedetto XVI (9 marzo del 2009, con Gianni Alemanno sindaco), Giovanni Paolo II (15 gennaio 1998, con Francesco Rutelli sindaco) e Paolo VI (16 aprile 1966, con Amerigo Petrucci sindaco).

E Bergoglio ha ricordato un avvenimento importante nella storia della città, sebbene piuttosto dimenticato: il convegno «sui mali di Roma» del 1974, di cui ricorrono i 45 anni. Un’iniziativa voluta dal Vicariato di Roma allora guidato dal cardinal Ugo Poletti – ma il vero regista «dietro le quinte» fu il battagliero don Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas –, a cui partecipò anche tutto il mondo cattolico di base e che avanzò dure critiche alla gestione del potere democristiano. Quel convegno, ha sottolineato Francesco, «si impegnò a tradurre in pratica le indicazioni del Concilio Vaticano II e consentì di affrontare con maggiore consapevolezza le reali condizioni delle periferie urbane, dove erano giunte masse di immigrati provenienti da altre parti d’Italia», che spesso vivevano nelle baraccopoli dei borghetti. «Oggi – ha proseguito il papa – quelle e altre periferie hanno visto l’arrivo, da tanti Paesi, di numerosi migranti fuggiti dalle guerre e dalla miseria, i quali cercano di ricostruire la loro esistenza in condizioni di sicurezza e di vita dignitosa». E Roma «è chiamata ad affrontare questa sfida epocale nel solco della sua nobile storia, ad adoperare le sue energie per accogliere e integrare, per trasformare tensioni e problemi in opportunità di incontro e di crescita».

Virginia Raggi ascolta e annuisce, ma gli sgomberi quasi quotidiani ordinati anche dal Comune rendono la città sempre meno aperta e accogliente, soprattutto per poveri e migranti.
Roma «è un organismo delicato, che necessita di cura umile e assidua e di coraggio creativo per mantenersi ordinato e vivibile, perché tanto splendore non si degradi», ha aggiunto Francesco, che ha ricordato anche l’importanza dei buoni rapporti, nella «distinzione», fra «autorità civile e religiosa». E chissà se nei «buoni rapporti» rientrano anche i milioni di euro di Imu che gli enti ecclesiastici dovrebbero versare – lo ha stabilito l’Europa – alle casse capitoline: del resto il Comune non li chiede, e la Chiesa non paga.