Chi governa questo paese – da Roma, da Berlino, da Bruxelles – non l’ha ancora capito. In questo paese la sofferenza si estende a macchia d’olio. Quella degli operai è cominciata 30 anni fa. Quella dei pubblici dipendenti e dei pensionati da almeno un decennio. Ora tocca ai trasportatori, ai negozianti, ai notai, ai dentisti. È una sofferenza che ha molte cause. La prima sta nella caduta dell’occupazione e del reddito.

Se sul mercato immetti un po’ di autotrasportatori dell’est che lavorano a prezzi stracciati, quelli italiani fanno la fine degli operai delle fabbriche delocalizzate. Se promuovi senza freni la grande distribuzione e i prodotti low cost, ne pagano le spese il commercio piccolo e medio, che è penalizzato dal collasso dei consumi conseguente la caduta dei redditi da lavoro dipendente e non, nonché dalle pensioni. Perfino i proprietari di case sono in sofferenza. Gli inquilini non ce la fanno a pagare l’affitto. A tutto questo aggiungiamoci l’enorme – e iniqua: chiede più ai poveri che ai ricchi – pressione fiscale crescente e la burocrazia onnipresente. Per guidare una scavatrice non basta più la patente per guidare il trattore. E se vuoi affittare un immobile, ti serve un certificato di efficienza energetica. Salvo poi scoprire che in quel di Prato i cinesi praticano, senza controlli, forme disumane e omicide di sfruttamento.

Calato nel disastro italiano il capitalismo globale sta strappando le ultime foglie del carciofo. In compenso la politica non fa che avanzare offerte di stampo populista. Cominciarono da queste parti la Lega e Berlusconi. Poi ci s’è messo Grillo. Ma anche la sinistra ha fatto la sua parte. Dopo tanti tentativi falliti, è alfine apparso il Berlusconi di sinistra, che tanti commentatori, politologi e politici sognavano. In tre milioni sono andati a votarlo. Vuoi inseguendo una nuova illusione, vuoi per dire se non altro: ci siamo. Ma hanno votato, lo sappiamo, nient’altro che il nulla. Cosa Renzi voglia fare per il paese nessuno lo sa. Già meglio di Berlusconi, che voleva solo spogliarlo. Ma il nulla porta solo al niente, mentre l’onda del populismo – ormai panpopulismo – si ingrossa viepiù.

Gli autotrasportatori hanno una lunga storia. In Cile misero il paese in ginocchio. Hanno una straordinaria capacità di far sentire la loro protesta. Soffrono, non c’è dubbio, come molte altre categorie di ceto medio, di un drammatico deficit di rappresentanza. L’affondamento della Lega e di Berlusconi tra illegalità e scandali ha aggravato questo deficit e già si sono fatti avanti per colmarlo i fascisti e Grillo, il quale partito da tutt’altre premesse, adesso invita addirittura le forze dell’ordine a sollevarsi. Che il cielo ne scampi.

Cosa c’è da fare? La cosa più sciocca è demonizzare la protesta. Sottostimare le sofferenze da cui scaturisce rischia solo di alimentarla. Al contempo, tuttavia, la repressione pura e semplice rischia anch’essa di eccitare ancor più la protesta. In realtà, l’unica cosa da fare è piantarla con panpopulismo e tornare alla politica. Qualcuno almeno dovrebbe provarci.

E quindi per prima cosa va spiegato a chi protesta – rumorosamente o silenziosamente – e a tutte le vittime di questo stato di cose che la sofferenza è sistemica. Che la radice della sofferenze di ciascuno è la medesima e che dalla propria sofferenza non si esce scaricandola su qualcun altro, per qualche ragione più debole. Puntare a un alleggerimento delle imposte, ad esempio, pagato con tagli selvaggi alla pubblica amministrazione e ai servizi pubblici, provocherebbe solo un degrado ulteriore della vita collettiva, insieme a una ulteriore riduzione dei redditi di ampie fasce della popolazione e quindi, alla fine, a un’ulteriore compressione dei consumi.

Che ci siano pezzi di società – la speculazione finanziaria in primis, i grandi patrimoni immobiliari, i grand commis pubblici e i grandi manager privati – ai quali si possa chiedere assai di più di quel che si è chiesto finora è fuor di dubbio. Com’è indubbio che nella pubblica amministrazione – la sanità anzitutto – si possano ridurre gli sprechi e accrescere l’efficienza. Per non parlare della riduzione dei costi indecenti della politica. Tuttavia, anche queste misure condivisibili, si possono assumere solo nel quadro di un progetto politico di bonifica e di rilancio tanto ambizioso, quanto condiviso, che dosi equamente i sacrifici che le dissipatezze del passato impongono, ma senza esagerare.

A quei signori di Bruxelles e di Berlino converrebbe infatti ricordare due cose. Che quando conveniva loro che l’Italia – pensiamo ai governi Berlusconi – dissipasse, si sono ben guardati dal richiamarla all’ordine. E che se l’Italia seguiterà per questa china discendente, civile, politica e economica, non sarà la sola a pagarne le spese. L’Italia, lo rammentino, è anch’essa too big to fail.