A dispetto dell’avvio del negoziato tra i Talebani e il fronte «repubblicano», la guerra afghana continua a mietere vittime. Sono 3.050 i morti, 5.785 i feriti registrati nel corso del 2020, secondo i dati resi pubblici ieri da Unama, la missione dell’Onu a Kabul. I dati riflettono il nuovo corso della guerra successivo all’accordo bilaterale tra Talebani e Usa del febbraio 2020: meno coinvolgimento delle forze internazionali, mano libera ai Talebani, che rivendicano meno gli attacchi e la cui escalation ha poi causato la reazione delle forze di sicurezza locali.

Tra morti e feriti, il conteggio delle vittime è inferiore del 15% rispetto al 2019, ma i dati non devono trarre in inganno: il Paese rimane uno dei più letali al mondo. Particolarmente preoccupanti i dati relativi ai bambini, il 30% delle vittime (tra morti, 760, e feriti), e alle donne (il 13% del totale, 390 quelle uccise). Rispetto agli anni passati, le responsabilità andrebbero attribuite per un 62% ai gruppi antigovernativi, con i Talebani responsabili nel 45% dei casi (la riduzione è del 19% rispetto al 2019) e per l’8% la branca locale dello Stato islamico (la riduzione è del 45%), sloggiata dalla roccaforte nella provincia di Nangarhar alla fine del 2019.

Le forze pro-governative, locali e straniere, sarebbero responsabili per il 25% dei casi: 841 morti. Da segnalare la riduzione delle vittime civili attribuibili alle forze internazionali: nel 2019 erano 786, nel 2020, 120: meno 85%. Un effetto dell’accordo di Doha, che ha portato alla riduzione degli attacchi aerei degli americani, «compensata» però dall’aumento delle vittime civili causate da quelli afghani.

La nota più rilevante riguarda il quarto e ultimo trimestre del 2020, coincidente con l’avvio – il 12 settembre 2020 – del cosiddetto dialogo intra-afghano tra i rappresentanti del movimento talebano e del fronte repubblicano che include politici al governo e all’opposizione a Kabul. Anziché una riduzione della violenza, «c’è stata una escalation», notano i ricercatori di Unama. Da ottobre a fine di dicembre, un tradizionale periodo di tregua si è trasformato nel più sanguinoso periodo di conflitto: 891 le persone uccise, 1901 i feriti. È la prima volta che succede.

Per proteggere i civili, «il modo migliore è stabilire un cessate il fuoco umanitario», ha ribadito Deborah Lyons, a capo della missione Unama. Ma la strada è ancora lunga: solo ieri i due gruppi di negoziatori sono tornati a incontrarsi a Doha, dopo settimane di sospensione dei colloqui. I due fronti rimangono in attesa delle decisioni dell’amministrazione Biden, che ha ereditato le scelte di Trump e dovrà decidere sui tempi del ritiro dei rimanenti 2.500 soldati americani, parte del contingente straniero di 10.000 uomini.

L’accordo tra Talebani e Washington stipula il ritiro completo entro la fine di aprile 2021. Ma Biden vuole guadagnare tempo, cerca di rassicurare l’alleato a Kabul e vorrebbe portare a casa, prima del ritiro, almeno una tregua parziale.