Quando Michael Jakob in Il paesaggio (Il Mulino, 2009) esordiva con l’idea di «onnipaesaggio», convinto di un suo ruolo centrale e sovraesposto nella cultura contemporanea, stilava anche una piccola lista delle discipline «umanistiche» che avevano contribuito a questo successo: filosofia, geografia, sociologia, antropologia e archeologia. Una lista che poi estendeva ai turisti, massimi produttori e consumatori di immagini paesaggistiche, e a tutti coloro che trattano il paesaggio in quanto materia, artificiale o naturale, come fanno urbanisti e architetti, ma anche legislatori e agronomi e ingegneri.

Il paesaggio «fenomeno non verbale, si iscrive in modo inscindibile in un flusso verbale, in un discorso», in una «sofisticata rete semiotica». Secondo questa prospettiva, tutti questi soggetti si confrontano con un prodotto culturale, nel quale gioca in modo fondamentale la nozione moderna di paesaggio, che lo vuole quale rapprentazione dello sguardo nello spazio (naturale). Un’idea che deriva, forse, dal fatto che pittura e letteratura conservano le più antiche ed esplicite forme di ambientazione paesaggistica dello sguardo umano sul mondo e dell’agire nel suo contesto.

In Estetica del paesaggio (Il Mulino, 2001), Raffaele Milani, attraverso la rete dei discorsi nelle diverse arti, aveva documentato il modo con cui la cultura del paesaggio influisce sul nostro atteggiamento naturale verso l’immagine della natura.

Anche nel caso del recente saggio di Vittorio Lingiardi, Mindscapes Psiche nel paesaggio, (Cortina, pp. 261, € 16,00), quel paradigma «moderno» può funzionare da punto di partenza, sebbene con l’intenzione di smussare, se ce ne fosse bisogno, la contrapposizione tra natura e cultura. Il paesaggio non è solo rappresentazione dello sguardo né solo visione dello spazio. La nozione di mindscape, infatti, rimanda, secondo l’autore, a un doppio esercizio analitico: l’osservazione del paesaggio fisico o della sua immagine come riflesso, o cattura del modo con cui gli individui ordinano i propri oggetti mentali (i ricordi, i giudizi, le emozioni, i pensieri); e, d’altro canto, la comprensione del modo in cui l’ambiente materiale, guardato o attraversato con il corpo e con lo sguardo, può sollecitare e costruire la rete interiore che forma la personalità. Per procedere in questo passo, molto lungo, Lingiardi deve rimettere in gioco quella cospicua serie di oggetti presenti nel discorso sul paesaggio e incrociarli con una lunga serie di oggetti che rigurdano il discorso sull’interpretazione della psiche. Questo lo porta a suddividere la sua esposizione in molti capitoli, o argomenti, tramite i quali fa emergere le implicazioni psicologiche di una relazione estesa con il paesaggio: naturalmente un paesaggio mentale non è fatto solo di immagini della natura, ma anche di oggetti, di forme, di corpi e di volti. «Il paesaggio», scrive a conclusione del libro, «è il luogo invisibile in cui mondo esterno e mondo psichico si incontrano e si confondono, inaugurando nuovi confini (…) Il paesaggio è la nostra psiche nel mondo. Dobbiamo ascoltarlo e rispettarlo per la sua capacità di sostenere la bellezza, la grazia e la minaccia».

Così, nella trattazione di Lingiardi si incrociano diverse prospettive e diversi oggetti, in una giostra che rimette al centro la dimensione soggettiva e psichica della caleidoscopia paesaggistica. Qualche esempio: l’attrazione per i luoghi, eletti a destinatari del nostro corpo e della nostra psiche; il sogno dei luoghi, rivelatori e stimolatori di immagini che attraversano i limiti tra la veglia e l’onirico; l’assimilizazione dei luoghi all’immagine della madre e del padre; l’identificazione di sé nello strumento che rappresenta l’iconografia del luogo; la possibilità di stendere una mappa funzionale al proprio orientamento; e molti altri argomenti tipici del linguaggio clinico. Tutto ciò contribuisce a mostrare quanto la proposta di Lingiardi sfidi un aspetto che ha sempre caratterizzato il discorso sul paesaggio: il suo essere, come ogni linguaggio, un punto di convergenza di diversi soggetti, un luogo di incontro consapevole, tanto da essere eletto a patrimonio comune.