Il pacchetto Minniti calpesta i diritti
Migranti e sicurezza Contro le ordinanze dei sindaci e le nefandezze del decreto anche noi ci appelleremo ai giudici e alla rule of law
Migranti e sicurezza Contro le ordinanze dei sindaci e le nefandezze del decreto anche noi ci appelleremo ai giudici e alla rule of law
Siamo vicini alle elezioni. E il governo spera di racimolare consensi con la solita sbobba su sicurezza e immigrazione. Ieri sono state approvate una serie di misure, perlopiù vessatorie. Esprimono una idea della sicurezza palesemente classista.
Migranti, poveri, persone con problemi vari, sono il target di misure detentive o comunque limitative della libertà personale. Un mix pericoloso. L’ennesimo pacchetto sicurezza che arriva dal fronte democratico. Ne avevamo già visti più di uno. Nessuno utile a sconfiggere culturalmente o politicamente le destre.
Nonostante i Centri di identificazione ed espulsione (Cie) abbiano data prova vergognosa di sé, il governo prova a gonfiarli nei numeri fino a contenere 1.600 migranti in via di identificazione. Anche la durata massima di permanenza si estende: 135 giorni contro gli attuali 90. Per provare a convincere gli scettici, i Cie cambiano però nome. Il fatto che non si chiamino più Cie, ma Centri per il rimpatrio (Cpr), non ne cambia però la natura illiberale e la loro profonda ingiustizia. Inchieste istituzionali, governative, non governative, internazionali, giornalistiche ne hanno nel tempo ampiamente smascherato la natura intrinsecamente violenta.
I migranti sono un problema. Per velocizzare i tempi per il riconoscimento del diritto di asilo, nel decreto si fa quel che non si deve, ovvero si toglie un grado di giudizio, l’appello, per chi ha visto la propria istanza rigettata in primo grado. Ma l’asilo non è trattabile al pari di una questione condominiale. Attiene alla vita e non può essere parzialmente degiurisdizionalizzato.
In sintonia culturale regressiva sono le norme presenti nel decreto sicurezza; sono conferiti poteri di ordinanza ai sindaci con misure che limitano la libertà di movimento. Misure simili erano state giudicate incostituzionali non molto tempo fa dalla Consulta. Misure che furono volute dall’allora ministro degli interni Roberto Maroni con il quale l’attuale ministro degli interni è in perfetta continuità normativa e simbolica. Cambia solo il linguaggio per indorare la pillola. Ma di progressista in tutto questo non c’è niente. Come non c’è nulla di democratico nel vietare a persone non condannate in via definitiva la frequentazione di certi luoghi. Sono vere e proprie misure di prevenzione messe nelle mani dei sindaci che così si potranno rifare una verginità dopo aver lasciato le città senza autobus, sporche e prive di servizi di welfare.
Possiamo immaginarne l’uso che ne potrà fare qualche sindaco sceriffo leghista del nord. Lo griderà ai quattro venti. E la destra capitalizzerà elettoralmente.
Infine nel decreto c’è una misura indegna che è la più indecente di tutte: le sanzioni contro coloro che fanno accattonaggio. Dunque i poveri cadono sotto la scure di un governo che ha come maggior azionista il partito democratico. Sin dal ’700 nobili e guardie si scagliavano contro mendicanti e vagabondi.
Il mondo intero si indigna contro il Muslim Ban di Donald Trump. Eppure, come denuncia il Financial Times, il governo italiano adotta una linea morbida. Quasi, quasi, visti i decreti di ieri, può definirsi un governo amico. Trump se l’è presa contro i giudici che, azionati dall’American Civil Liberties Union, hanno bloccato il suo decreto. Contro le ordinanze dei sindaci e le nefandezze del decreto anche noi ci appelleremo ai giudici e alla rule of law. Dunque chiediamo di segnalarcele per consentirci di contestarle per via giurisdizionale.
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