Chi lo conosce ne parla come di un uomo «dal passo felpato», adatto a tutte le stagioni. Antonio Pignataro si è insediato nella giornata di ieri in questura a Macerata e ha passato l’intera giornata a fare riunioni con i suoi nuovi sottoposti. Praticamente irreperibile, ai cronisti ha fatto sapere soltanto di essere arrivato in città, seguirà (forse) una conferenza stampa di presentazione ufficiale nei prossimi giorni, quando le acque saranno un po’ più tranquille.

Calabrese di origine come il ministro degli Interni Marco Minniti e dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro (di cui fu autista, quando entrambi erano in Sicilia negli anni ’90). E quello geografico non è un dettaglio, dal momento che i legami territoriali, nel mondo delle divise, sono spesso indice di rapporti importanti, fiduciari prima ancora che di merito.

E infatti diverse fonti sostengono che Pignataro sia stato inviato nelle Marche proprio perché uomo di fiducia del Viminale, più ligio al dovere, o meglio, migliore ascoltatore di quanto non fosse Vincenzo Vuono, il suo predecessore, sollevato dall’incarico due giorni fa proprio perché ha deciso di gestire il ‘caso Macerata’ in maniera troppo indipendente. Al ministro Minniti serviva una testa da tagliare: il suo tentativo di non far svolgere il corteo organizzato dal Sisma, d’altra parte, si è rivelato un buco nell’acqua. E a pagarne le spese adesso è soprattutto il Pd, che ha rinunciato a una manifestazione antifascista e rischia di perdere ulteriori consensi tra quel che resta del suo elettorato di sinistra.

La velina fatta circolare dai questurini è che Pignataro sia stato spedito in terra marchigiana per contrastare il giro di spaccio, dopo aver maturato grandi esperienze nel dipartimento antidroga, anche se in realtà questa mansione l’ha svolta per appena un anno, e senza operazioni di rilevo.

È da giorni però che si parla della «mafia nigeriana» come cartello dello spaccio di eroina, definita a più riprese come autentica piaga per la città, anche se da nessuna parte si trovano dati statistici in grado di confermare il sospetto: a Macerata non esistono particolari problemi con la diffusione di sostanze stupefacenti, non più che in tante altre realtà di provincia, almeno. Lo spettro della malavita organizzata africana viene usato più che altro come arma propagandistica utile ad alimentare leggende razziste sull’omicidio della giovane Pamela.

Altre fonti di polizia descrivono Pignataro come un fedelissimo del ministero degli Interni, legatissimo a Roma, tanto che quando venne promosso a primo dirigente preferì rimanere nella Capitale che andare altrove, dove avrebbe potuto affermarsi più velocemente. Aspettava il momento giusto, evidentemente, e per tre anni (dal 2013 al 2016) ha diretto il commissario Viminale, a due passi da Termini, in una delle zone di Roma a più alta concentrazione di migranti, tra le altre cose.

Poche attività degne di nota, le operazioni condotte contro spaccio, piccoli furti e reati minori al massimo hanno guadagnato brevi trafiletti in cronaca locale.

Un solo episodio davvero rimarchevole: era il 29 ottobre del 2014 quando Pignataro diresse l’ordine pubblico durante la manifestazione degli operai della Thyssen di Terni. Guidati dall’allora segretario della Fiom Maurizio Landini, i lavoratori vennero caricati a freddo dalla polizia mentre si stavano dirigendo verso il ministero dello Sviluppo Economico: quattro feriti tra gli operai e altrettanti tra gli agenti. Il giorno successivo, quando il ministro Alfano riferì in Senato, la polemica fu rovente, ma il nome di Pignataro non venne comunque fuori. Un fantasma, una presenza discreta, un fedelissimo.

Un trionfo per Minniti, sempre più uomo solo al comando, in grado di disporre le proprie pedine come più ritiene sia utile. Vuomo è stato silurato per questo. Pignataro è arrivato per lo stesso motivo.