La Germania ha dunque il suo governo e non vi è dubbio che iscritti e delegati dei tre partiti non mancheranno di ratificare l’accordo raggiunto tra socialdemocratici, verdi e liberali. L’unico possibile, visto che le alternative nascevano gravemente fiaccate dal logoramento dell’abusata Grosse Koalition e della lunga egemonia democristiana. Senza rivoluzioni né svolte radicali, ma con un buon numero di novità e gran voglia di governare.

Un governo “progressista” come proclama il futuro Cancelliere Olof Scholz, con tutte le ambiguità che questa definizione porta con sé. Con un programma tanto lungo e articolato da lasciare ampio margine di gioco nell’elencare le une accanto alle altre le esigenze dei tre partiti che lo formano e i rispettivi temi-bandiera. C’è, insomma, proprio tutto quello che doveva esserci, dall’impegno concreto contro il cambiamento climatico e per le energie alternative, alle misure sociali per le pensioni, il blocco degli affitti, il salario minimo e il reddito di cittadinanza (che sostituisce il vessatorio sistema di workfare denominato HarzIV), dalla liberalizzazione della cannabis e l’autodeterminazione di genere alle promesse ultraliberiste del neoministro delle finanze Christian Lindner che si proclama inflessibile guardiano della stabilità finanziaria.

In fin dei conti un governo di centro-sinistra, di quelli ormai piuttosto rari in Europa. Sul tutto domina una crisi sanitaria senza precedenti e un’esplosione dei contagi che non conosce limiti. Situazione con la quale promesse e posizioni di principio dovranno immediatamente misurarsi. Non è questa una stagione favorevole per i falchi e le politiche di rigore finanziario. E nemmeno per i più fieri nemci dell’intervento pubblico nell’economia. Non sembra dunque imminente, nonostante la propaganda liberale, un ritorno ai tempi di Jens Weidmann e Wolfgang Schäuble.

Il governo guidato da Olaf Scholz sarà beninteso un governo europeista in linea di continuità con la politica di Angela Merkel, ma un rafforzamento dell’Europa politica, un punto di vista problematico se non critico sulla prevalenza degli interessi nazionali, non spicca tra gli intenti della coalizione. Il punto di vista resta in tutto e per tutto tedesco. Così, laddove si affronta il tema delle migrazioni, ribadendo la vocazione della Germania ad essere terra di immigrazione, Berlino procederà con sue proprie politiche nazionali volte a regolare senza chiuderli i flussi migratori secondo le proprie esigenze. E così anche nella controversa decisione di dotarsi di droni armati ( accantonando la lunga stagione della Bundesrepublik che preferiva rinunciare alle armi offensive) è a una forza militare propria che il nuovo governo federale guarda, tra gli applausi di quanti vogliono farla finita con i sensi di colpa e con il pacifismo del dopoguerra.

Il completamento della costruzione politica europea con indiscussi connotati democratici è la premessa e la condizione perché un nuovo soggetto possa irrompere nel trasformato scacchiere geopolitico senza timidezze, ma anche senza presentare tratti aggressivi. In questo il ruolo della Germania è certamente decisivo, ma lo è anche la responsabilità di appartenere a una più grande comunità.
Nel 1969, battezzando il suo governo Willy Brandt invitò a “osare più democrazia”. Molti hanno visto nel motto scelto da Olaf Scholz “osare più progresso” un richiamo e una discendenza. Converrebbe sottolineare che non si tratta affatto della stessa cosa. Talvolta può addirittura rappresentare un’antitesi. Ma ci auguriamo che in questo caso non sia così.