Più per spegnere le notizie date da altri che per darle a sua volta. Per «profilarsi», come si fa sui social, per aprirsi uno spazio comunicativo fra i suoi due ingombranti vice al confronto dei quali risulta sciapo e impacciato. Ieri il presidente Giuseppe Conte ha convocato i cronisti per un saluto prima dele vacanze, con l’occasione del compleanno, per un brindisi e qualche genere di conforto, «offerto a sue spese» sottolinea Rocco Casalino, regista e ideatore dell’appuntamento. Location elegante ma non ingessata, posa introspettiva e confidenziale nel salottino della Sala degli Arazzi di Palazzo Chigi, dietro tricolore e bandiera europea, davanti sorriso rassicurante.

I sondaggi gli assegnano un indice di gradimento alto, più per assenza di nemici che per amici: il premier sa di risultare comunque il vaso di coccio fra i due dioscuri di ferro Di Maio e Salvini. E così prova a girare in bene un male, e cioè lo spontaneo understatement in una qualità ricercata e utile a mettere ordine agli eccessi dei suoi. Così risponde alle domande senza rispondere. La possibile revoca della gara per l’Ilva? «Di Maio non è scriteriato», ha agito «in autotutela», ma se ne riparla in autunno. Sulla Tav ci sono divergenze fra M5S e Lega? «All’esito di una revisione integrale del progetto tra un po’ trarremo le decisioni». Lo stesso la Tap? «Valutiamo le istanze e alla fine faremo una sintesi politica». Ma sul gasdotto Conte ha preso un impegno davanti a Trump quindi aggiunge con un soffio che comunque quell’opera «è pressoché completata». Anche sull’Alitalia pattina con cortesia: «Vogliamo conservare una compagnia di bandiera ma dobbiamo misurarci con le realtà di mercato e le possibilità concrete». Mancherebbe il contrario. E sulla presidenza di Nava alla Consob: «Valuteremo». Si sbilancia, ma poco poco, solo in due casi. Rispondendo sul pasticciaccio della presidenza Rai rende l’onore delle armi a Foa: non lo conosce ma da una valutazione «curricolare» ritiene che «Foa è adeguato» a fare il presidente, cioè lo sarebbe stato. Sui vaccini, la bilancia sempre in bilico delle sue risposte stavolta pende verso l’obbligatorietà: «Ho portato personalmente mio figlio a vaccinarsi, ed è questa la linea del governo. L’autocertificazione non cancella l’obbligo». Ma la sua maggioranza ha fatto slittare le sanzioni per chi non vaccina i propri figli.

Tranquillizzare, spegnere i fuochi, ostentare doti da mediatore: il presidente non prova neanche a fare la parte del condottiero ma valorizza quella grigia del notaio. Di fronte alle intemperanze dei suoi ministri garantisce che farà rispettare il «contratto» di governo. Disinnescando le mine disseminate dai banditori del cambiamento. Declinando con garbo e una dose di ipocrisia persino il macello fatto dal ministro Salvini sui migranti: «Abbiamo ridotto gli sbarchi», «oggi ci sono meno rischi per i migranti». Giurando entusiasmo per gli scarsi risultati ottenuti in Europa e dandosi un obiettivo davvero un po’ troppo minimal con i paesi non accolgono migranti: «Proverò a convincere il premier ceco ad accogliere un solo migrante, un atto simbolico».

Così sulla manovra d’autunno: «Sarà seria, rigorosa e coraggiosa perché accompagnata da riforme strutturali. Tasselli importanti saranno la riforma fiscale con la flat tax e il reddito di cittadinanza», ma subito attenua: «Bisogna essere realisti, non significa che a settembre realizzeremo tutte queste riforme». Serve prudenza e non do di petto di fronte allo spread: «Il ministro Savona è pienamente coinvolto ma non ci sono piani A, B o C. In Europa andremo a testa alta ma senza essere scriteriati». Per non urtare la maggioranza misura le parole anche sul caso degli attacchi via twitter a Mattarella: «È un fatto grave, l’intelligence è al lavoro e ci saranno sanzioni».

Non si sbilancia. Non ha nulla da dire, ma è proprio questo che doveva dire, con studiata naturalezza. E che conferma poi nelle chiacchiere con i cronisti con un bicchiere in mano: «Non alzo mai la voce. Non ne vedo il bisogno. Sono un pragmatico, anche nell’inquietudine». Persino «fra mare e montagna sono per la collina della mia Volturara Appula. Non sono né carne né pesce»