In piena polemica sulla nazionale e il rituale del ginocchio a terra -adesione a un messaggio che non ammetterebbe dubbi – la proiezione de Il Nero di Giovanni Vento ricorda come la problematica razziale sia sempre «attuale». Il nero è un film del 1966 di notevole modernità espressiva e maturità politica che racconta la vita di ragazzi dalla pelle più o meno scura, in una Napoli metropolitana, tra musica jazz (magnifica colonna sonora di Umiliani con Gato Barbieri) e self-services modernissimi: dei ragazzi degli anni sessanta come tanti, con in più il problema del colore.
Il film è rispuntato grazie all’impegno di Leonardo De Franceschi, che ha dato la caccia alla pellicola, ha convinto il Museo di Torino a restaurarla e ora ha pubblicato un libro che ripercorre la carriera del regista, lo sviluppo del progetto e le sue vicissitudini (in pratica il film non è mai uscito nelle sale), oltre a un’articolata analisi testuale. Da Il Nero di Giovanni Vento. Un film e un regista verso l’Italia plurale, dunque sono tratte le citazioni in questo articolo.
Vento era un critico cinematografico «di sinistra», scriveva per l’Unità e per Filmcritica, immerso dunque nel dibattito sul realismo che seguì la crisi del neorealismo. Dirige poi dei documentari «attento alle mille voci di un’Italia sommersa, fatta di donne e bambini del sud, meridionali al nord, detenute/i, operaie/i, comuniste/i, «zingare/i»» ed è assistente di Carlo Lizzani, fino alla realizzazione de Il nero. Così racconta il film: «Questa cronaca autunnale, questo moderno ‘commiato dalla gioventù’, si svolge in una Napoli che potrebbe essere anche Milano o New York. Il nero, infatti, non è un film sul nero, ma un film di neri, il primo film italiano di neri. Questi italiani neri (i figli della Madonna, come vengono chiamati a Napoli) sono i primi neri della storia italiana… non hanno nessuna tradizione, nessuna razza, nessun passato, nessuna storia e nessun folclore. Appartengono ai giovani Alessandra e Silvano, figli della stessa madre, si amano: un rapporto forse incestuoso, ma non pornografico, un amore che stimola la consapevolezza, non i sensi. La storia di Mario e Orchidea da un lato e quella di Silvano e Alessandra (e di Joy, la studentessa nigeriana che è amica di Silvano) dall’altra rimangono separate, anche se talvolta si incrociano, come durante una jam session…» Quindi Vento stesso inserisce il testo in una storia italiana di «giovani» pur affermando la distinzione di «primo film italiano di neri», la cui «autunnalità» sta nel fatto che i protagonisti nel finale si ritrovano alla visita di leva, nel momento in cui la loro identità viene assorbita dalla divisa italiana.

NEL 1967 il film viene scelto da Gideon Bachman assieme a Prima della rivoluzione di Bertolucci e I pugni in tasca di Bellocchio per rappresentare il cinema «giovane» italiano al festival di Berlino. Rispetto agli altri due film, Il nero, che ne condivide lo stile modernista, è più avanzato dal punto di vista politico-sociale, affrontando la Grande Negazione: la questione razziale. Sepolta nella memoria collettiva come i misfatti coloniali del nostro passato, la problematica della diversità si nasconde dietro a una finta «tolleranza»- termine che esprime già un pregiudizio- ma in forza del suo atavico cosmopolitismo Napoli ha seguito un percorso di integrazione distratta per i «figli della Madonna.».
Nonostante ottime recensioni, il film di Vento non ha distribuzione, neppure da parte dell’Italnoleggio, a riprova che il colore nero fa più paura del rosso. Nel suo intervento per scuotere l’ente, Lizzani nota che il film non ha trovato un distributore «perché evita volutamente le due tendenze del cinema d’autore appetibili per certa distribuzione in Italia: la via all’apologo, alla metafora dell’ultimo Buñuel, di alcuni Godard, di Teorema, o il discorso «ieri neorealista e oggi naturalista» di certo cinema d’impegno civile.»
Il movimento studentesco romano invece adotta il film, in quanto «non è un prodotto del sistema,.. neppure del sistemino politico di sinistra… Ci sono giovani che non credono nel passato, non credono nel futuro; questa gioventù in crisi non riesce più a trovare punti fermi nel presente. Si sente la loro solitudine, il loro smarrimento, che corrono lungo l’arco del film come un bisogno di esplosione, di rivolta. Forse può apparire azzardato, ma Il Nero anticipa i movimenti di rivolta giovanili del ’68».

INFINE scrive Vento: «Il fatto di aver scelto Napoli e di non averla proposta nei canoni usuali, è una provocazione, così come una provocazione è l’argomento, di bassa estrazione sociologica, che avrebbe potuto dar vita a un film di tipo pasoliniano, e che …è addirittura all’opposto. Oggettivo, «pop». La macchina da presa è messa di fronte all’oggetto senza sottolineature morali, sentimentali… dà l’impressione di un vetro, un vetro tanto vero che…potrebbe rompersi. Si è anche parlato di tensione. Una tensione quasi sempre allo stesso livello, sullo stesso piano, che ogni tanto scatta: come nella scena di Cassino o al distretto. Il finale è la conclusione di un viaggio non concluso. Proprio questa presa diretta della realtà, il rifiuto di spiegare le biografie dei personaggi, mette in questione il colore della loro pelle, spingendoci a interrogarci sulla nostra percezione della loro «diversità» che i personaggi del film sembrano quasi ignorare.