Nazareno, quinta puntata: la peggiore della serie.

Stavolta la fumata non è bianca. Se non proprio nera, è almeno grigio scura. L’accordo sull’Italicum riveduto e corretto da Renzi per ora non c’è. I salamelecchi e la diplomazia si sprecano. I soci si lasciano amichevolmente, col silviesco «Fammici pensare un po’» di prammatica, poi le voci di corridoio, più o meno sapientemente pilotate, si premurano di informare che «in linea di massima» l’intesa c’è, resta solo un dissenso sui tempi.

Non è così. Il dissenso è forte sui tempi ma in realtà il ras azzurro non ha dato il via libera neppure sul premio di lista. A non convincere Silvio Berlusconi non è questo o quel particolare ma l’intero impianto. In conclusione se la cava dicendo che fosse per lui, per carità. Ma sul parere dei suoi parlamentari non ci può giurare. Li consulterà oggi stesso, poi farà sapere.

Seduti a tavola a palazzo Chigi sono in cinque, con Berlusconi arrivano Gianni Letta e Denis Verdini, Renzi li aspetta con al fianco il vicesegretario Guerini. Col pranzo, il padrone di casa offre anche la sua proposta, messa a punto in mattinata con Guerini, i capigruppo del Pd Zanda e Speranza e il presidente Orfini.

Premio di maggioranza assegnato alla lista, purché superi il 40%. Soglia di sbarramento alta: 5% a fronte del 3 invocato dall’Ncd in cambio del suo appoggio. Ma se c’è un elemento sul quale i soci del Nazareno concordano in pieno è che ormai il parere di Alfano sia un fattore trascurabile.

Sulle preferenze, punto chiave, una proposta chiara non c’è, ma i vertici del Pd concordano sul fatto che l’ipotesi dei capolista bloccati e per il resto eletti a preferenza non regge. Vorrebbe dire una camera formata al 70% di nominati e il cardine dell’accordo con la minoranza Pd è l’opposto. Senza entrare troppo in particolari Renzi ipotizza una proporzione inversa: 30% di deputati scelti dalle segreterie e 70% con le preferenze. Solo a sentirne parlare Silvio si rabbuia e qui è Renzi a far balenare il cedimento. Non particolarmente sofferto: l’idea di nominare il grosso dei parlamentari piace anche a lui. Qui però tocca al leader del Pd dover rinviare la risposta. Un passo avanti ci sarà stamattina stessa, dopo la riunione della segreteria.

Sui tempi è peggio che andare di notte. Il presidente del consiglio vuole correre. La sua tabella di marcia prevedeva l’incardinamento in commissione oggi stesso, l’approvazione da parte della commissione entro dicembre, e poi di corsa in aula. L’azzurro subodora la corsa al voto anticipato. Chiede spiegazioni e delucidazioni. Segue colloquio che da solo dice tutto sullo stato della democrazia nell’età del Nazareno. Nessuna voglia di elezioni anticipate, non sia mai: la legge elettorale, giura Matteo, serve a tenere perennemente sotto botta i dissidenti del suo partito, a costringerli all’obbedienza con il ricatto delle elezioni anticipate. Silvio comprende e partecipa del dramma. Però con i dissidenti deve fare i conti anche lui, e se i tempi sono fulminei come reclama il velocista di palazzo Chigi rischia di non farcela a tenerli buoni. Meglio rinviare almeno sino a primavera, tanto per andare sul sicuro. Incidentalmente, Berlusconi per una volta non mente a fini di mercanteggiamento. Oggi rischia davvero di trovarsi contro la maggior parte dei suoi parlamentari.

Tutto rinviato a oggi dunque, ma con presagi poco fausti. Sui tempi Renzi non intende cedere. Il miraggio di incardinare la legge oggi è sfumato, ma la nuova agenda non va molto più in là: entro la settimana prossima. Sul fronte opposto il malcontento dei forzisti è alle stelle e il dubbio che lo stesso capo lo stia adoperando come alibi per giustificare la sua stessa contrarietà alla riforma è più che legittimo.