Nel «Il forestiero» una guida molto famosa di Napoli del 1634, l’autore, Giulio Cesare Capaccio, raccomanda la visita della casa di Ferrante Imperato, «homo singolare,che fe’ quel nominatissimo studio ove sono circa dodecemila semplici terrestri, maritimi e aerei… visitato da tutti i gran Signori, che camminano per il mondo». Più avanti, sono elencate una serie di cose e oggetti «da destar meraviglia» che in quella casa si possono ammirare: «un crocodilo terrestre Egittio, o Arabico che si dimanda anche Cordillo. Un’Icneumone o sorce faragone, che uccide i crocodilli.Un’ alcione uccello marittimo…Un Trochilo, uccello d’India…Una tenia ,o spada marina da Aristotele. I l corno dell’animal Beozar. Un agnello di mostruosa effigie con un occhio, due corpi e codi e otto gambe.Un vitello con due teste. Una madreperla. La pietra Amianto. Il lino incombustibile. La pietra Alettaria…» e così di seguito con una lista di più di 280 ottanta nomi di animali, piante, frutti, semi, radici, metalli, minerali, gemme…
Imperato è un farmacista speziale e, come i colleghi Francesco Calzolari di Verona e Ulisse Aldovrandi di Bologna, ha allestito quello che chiama un «teatro della natura» una camera delle meraviglie, una Wunderkammer.

La sua casa (casa e bottega si direbbe a Napoli) era diventata quello che oggi chiameremmo un museo, ed era visitata tutto l’anno da centinaia di ricchi viaggiatori, nobili, colleghi farmacisti e naturalisti provenienti d’ogni parte d’Europa.

Sotto l’impulso dei grandi viaggi e delle nuove scoperte geografiche nascono un po’ dovunque in Europa intorno alla fine del Cinquecento questi «gabinetti» che sono luoghi di ricerca ma anche di ricreazione e d’incontro. I «virtuosi», come vengono definiti, raccolgono e discutono d’oggetti d’ogni tipo. Si possono ammirare rarità, mostruosità, singolarità animali o vegetali. Sono collezioni che vogliono soprattutto destare stupore e meraviglia e riprodurre l’intero mondo naturale: gli animali appaiono accanto a piante e conchiglie; mummie o feti a lato di collezioni di ossa di giganti, calcoli renali, piante rare, pietre inconsuete, corni di licorno, antiche monete o opere d’arte…

È la nascita dei musei
La storia dei musei, soprattutto di quelli medici e scientifici è poco conosciuta. Perché nascono? A cosa servivano ? Solo in Italia ne abbiamo più di duecento. Grandi e piccoli, antichi e moderni. Dal Nord al Sud: dalle straordinarie cere anatomiche di Firenze, Torino , Cagliari al cannocchiale di Galileo e ai disegni di Leonardo, dal cristallo di gesso di Palermo, contenente una bolla d’acqua di sei milioni di anni fa, a storie intriganti come quella dei crani della Vicaria o dell’«uomo criminale» di Lombroso. Dai primi orti botanici agli osservatori astronomici. Dal cielo ai segreti del mare fino alla scoperta dell’età della terra. In questi musei troviamo una ricchezza inesauribile per lo più ignorata: gli strumenti, i reperti, le opere d’arte, le immagini. Dalle grandi raccolte di storia naturale degli atenei alle piccole realtà locali. Dalle antiche esposizioni ai moderni Science center.

Queste righe vogliono essere un invito ad andarli a scoprire, senza la presunzione di una guida esaustiva: forse non basterebbe nemmeno un libro…
I musei sono oggi un modo inconsueto di raccontare la scienza e le sue diverse discipline. Una forma di divulgazione diversa che può far comprendere come la scienza non sia solo teorica ma anche pratica. Dal cannocchiale al microscopio, dalle tavole anatomiche alle fotografie, le origini della scienza non sono solo nelle idee ma anche negli oggetti e nelle immagini. Nei musei scientifici vediamo come, passo dopo passo provando e riprovando nasca l’esperimento, riproducibile e quantitativo, e con esso la scienza in senso moderno.

La scoperta del cielo
Vicino agli Uffizi a Firenze a Palazzo Castellani, c’è l’Istituto e Museo di storia della scienza dove sono conservati gli strumenti costruiti o ideati da Galileo. Oltre a due cannocchiali e al compasso geometrico, c’è – inserita in una splendida cornice seicentesca – la lente con cui Galileo scoprì I pianeti di Giove: battezzati Medicei in onore di Cosimo II dei Medici.
All’inizio del secolo, siamo nel Seicento, un cannocchiale stravolge la percezione dell’Universo. Galileo non è il primo a puntare uno strumento verso il cielo ma è il primo a scorgere nel cielo nuove realtà.
«la Luna – ad esempio – non è affatto liscia e uniforme e di sfericità esattissima…ma al contrario disuguale, scabra, ripiena di cavità e di sporgenze..(Sidereus Nuncius).

Le incisioni che rappresentano i crateri lunari provocano uno choc: la sfera liscia della Luna si è trasformata in un globo rugoso! Il paesaggio lunare assomiglia a un paesaggio terrestre. La Terra ha caratteristiche che non sono uniche nell’Universo. L’astronomia diventa un attacco alla tradizione. Galileo mette insieme tre discipline fino allora separate:la matematica, la fisica e l’astronomia.

Il linguaggio dell’Universo è la matematica: triangoli, cerchi e altre figure geometriche sono I suoi caratteri…
«Le osservazioni astronomiche di Galilei non segnavano soltanto la fine di una visione del mondo – come ha scritto Paolo Rossi – sembrarono anche ai contemporanei l’atto di nascita di un nuovo concetto di esperienza e verità. Una certezza data dagli occhi…».

Pensando sempre al cielo facciamo un balzo a sud di diversi centinaia di chilometri. Siamo a Napoli a 154 metri sul mare con davanti un orizzonte interrotto solo dal Vesuvio e dalla collina del Vomero. Qui dopo varie vicissitudini, il 4 novembre 1812 fu posta dalla regina Carolina di Borbone la prima pietra dell’Osservatorio astronomico di Capodimonte. Gli strumenti all’epoca furono ordinati a Reichenbach un famoso costruttore di Monaco …L’osservatorio, oggi Museo, svolse un’importante attività di ricerca per decenni. Fra I tanti cimeli cinquecenteschi il globo celeste di Roll-Reinhold e l’orologio di Chalsaner appartenuti alla famiglia Farnese.
Con Galileo, Keplero, Copernico e poi Newton si sono poste nuove basi di pensiero, di lettura e interpretazione del mondo.Il cielo, l’universo è il protagonista principale.

La scoperta del tempo
Aristotele pensava che la Terra fosse eterna, e idee simili avevano anche gli antichi scienziati indiani e cinesi. La Cina, ricordiamolo, fino al Seicento era il paese più avanzato quanto a conoscenze scientifiche.
La teoria prevalente era quella dell’arcivescovo irlandese Ussher che calcolando le vite dei discendenti di Adamo ed Eva, secondo la Bibbia, era giunto alla conclusione che la Terra era stata creata il 22 Ottobre del 4004 avanti Cristo.

Gli uomini dei primi decenni del Seicento credevano quindi che la Terra -secondo la genealogia dell’arcivescovo – non avesse più di seimila anni.
Questa teoria però contrastava con la scoperta sempre più frequente e numerosa di conchiglie e pesci , o pietre che ne avevano l’aspetto, su colline e montagne molto al di sopra del livello del mare. Che cosa erano quelle strane pietre a forma di pesce? Solo oggetti naturali «strani» oppure vere e proprie tracce di pesci pietrificati? Si comincia a pensare che la Terra avesse una storia sviluppatasi nel tempo e che i «fossili» fossero testimonianze di quella storia. Fra i fossili più famosi sicuramente i resti dei dinosauri che vengono ritrovati a partire dai primi anni dell’Ottocento.

Lo studio di rocce e minerali consente di tracciare un quadro della storia della terra e reperti fossili di minerali, piante e animali, come le ossa di dinosauri sono visibili nelle raccolte mineralogiche presenti un po’ in tutta Italia.
Dal museo di mineralogia dell’Università di Roma voluto da Papa Pio VI e istituito nel 1804, al museo geologico Gemellaro di Palermo, che raccoglie circa 600.000 reperti: dalle collezioni paleontologiche a quelle stratigrafiche, mineralogiche e litologiche. Fra gli altri, lo scheletro di una lontra vissuta 500.000 anni fa e quel cristallo di gesso con una bolla d’acqua di 6 milioni d’anni già citato. E la «mascotte» del museo: lo scheletro di una donna di 11mila anni …

L’elenco di Musei è ricchissimo. Ricordiamo solo come curiosità la «pietra fosforica di Bologna» del Museo Bombicci, scoperta all’inizio del Seicento e per anni oggetto di discussione fra gli alchimisti, o l’elefante nano di mezzo milione d’anni fa , ritrovato vicino Siracusa e oggi conservato nel Museo di mineralogia, paleontologia e vulcanologia di Catania. E ancora le collezioni mineralogiche nate nella prima metà del Cinquecento per opera dei Medici.
Negli ultimi decenni del Settecento, nell’età di Kant, si era ormai consapevoli di un passato di molti milioni di anni. All’epoca una delle teorie più diffuse fra gli studiosi della Terra è quella del catastrofismo. Si pensa che la terra si sia formata al seguito di un susseguirsi di diverse «catastrofi» come eruzioni e diluvi.

A rivoluzionare gli studi geologici, e superare le teorie catastrofiste, è un inglese Charles Lyell (1797-1875) con i suoi The principles of Geology (1830-33), che Charles Darwin portò con sé in giro per il mondo tra i suoi libri- Il secondo e il terzo volume, che non erano ancora usciti quando il Beagle lasciò l’Inghilterra, se li fece spedire in America latina.
La storia della terra può essere osservata grazie agli eventi geologici. Darwin ha scritto di aver guardato al mondo geologico con gli occhi di Lyell anche se poi giunse a conclusioni diverse sul significato dei fossili.

Incuriosiscono molto i vulcani. Gli studi vulcanologici sono sempre più alla moda alla fine del ‘700. L’eruzione del Vesuvio nel 79 e la scoperta della città di Pompei sono di enorme interesse per viaggiatori e studiosi.
Un centro importante che svolgerà un ruolo di ricerca di primo piano è proprio l’Osservatorio Vesuviano di Napoli, oggi un bellissimo museo. La sua storia è legata a quella di alcuni tra i più importanti scienziati dell’Ottocento italiani. In particolare al fisico Macedonio Melloni, un parmense che visse e lavorò per sedici anni a Napoli e a Luigi Palmieri, titolare della cattedra di filosofia e poi di fisica, uno dei fondatori della moderna scienza vulcanologica. L’osservatorio venne inaugurato ufficialmente nel 1845 in occasione del VII congresso degli scienziati italiani. Il suo scopo era lo studio «attuale e pratico della fisica terrestre». Fu, in assoluto, il primo osservatorio vulcanologico al mondo.

Il corpo
Il corpo è la meraviglia delle meraviglie «c’è tutta l’Africa e i suoi prodigi in noi…» scrive il medico Thomas Browne.
La visita di un museo anatomico, non solo in Italia, può suscitare qualche perplessità a un non addetto ai lavori. Le diverse parti del corpo umano, come teste, arti, crani, scheletri e ossa d’ogni genere, sono sistemati in bella mostra con intenti che appaiono più spettacolari che scientifici.
Nel 1632 Rembrandt dipinge un quadro La lezione d’anatomia del dott. Nicolas Tulp, oggi al Rijksmuseum di Amsterdam, che rappresenta la dissezione di un corpo, che durerà quattro-cinque giorni davanti a tre-quattrocento spettatori.
È il segno di un’epoca. Gli anatomisti sono riusciti, in un paio di secoli, a fare della loro disciplina «uno degli spettacoli accettati della prima Europa moderna» (A.Wear). Gli stati sociali privilegiati hanno superato tabù antropologici e resistenze religiose e la dissezione pubblica viene accettata, purché effettuata su corpi di criminali o di poveri senza famiglia.

È indispensabile comprendere questo cambiamento per spiegare come nascono le prime collezioni anatomiche nella seconda metà del Cinquecento. Molto si deve ad artisti come Leonardo, Verrocchio e poi Raffaello e Michelangelo o Dürer, che effettuarono personalmente molte dissezioni. La riscoperta del corpo viene fatta propria anche dalla cultura della Controriforma e l’anatomia viene utilizzata per sottolineare il più «straordinario miracolo»: la creazione dell’uomo.

Il disegno diviene una componente quasi irrinunciabile e importante dei testi d’anatomia e la pubblicazione nel 1543 ( lo stesso anno del De revolutionibus di Copernico) del De humani Corporis Fabrica di Andrea Vesalio, un giovane medico belga formatosi a Padova, segna una svolta. Per la prima volta, almeno ufficialmente, un medico apre con le sue mani un cadavere. Fino a quel momento un «sector», spesso un barbiere, tagliava il corpo, mentre un «ostensor» mostrava le parti e il medico, un po’ lontano in alto, leggeva un testo classico.

L’anatomia diventa una scienza d’avanguardia e costituirà una componente importante della cultura laica e religiosa per almeno un paio di secoli. Il corpo è considerato come una macchina: un’immagine forte che durerà per molto tempo.
Nelle Camere delle meraviglia, le Wunderkammern, di cui abbiamo parlato, l’anatomia occupa un posto privilegiato. Vi si possono ammirare rarità, mostruosità, singolarità fisiche o anatomiche della gran meraviglia del corpo. La sensibilità verso la morte all’epoca (verso il 600/700) era molto diversa dalla nostra. L’imbalsamazione era, ad esempio, molto frequente presso i nobili francesi. Molière, nel Malato Immaginario, fa invitare Angelique dal suo fidanzato ad assistere ad una dissezione. Come se oggi noi invitassimo qualcuno al cinema o ad un concerto. Già nel 1497 a Padova si vendevano i biglietti per assistere a una dissezione umana. L’anatomia come spettacolo a pagamento precede addirittura gli spettacoli teatrali.

Alcuni naturalisti avevano in casa i propri gabinetti d’anatomia. Famoso a Napoli quello di Raimondo di Sangro principe di San Severo (1710-1771) comunicante con la cappella dove ancora oggi si possono vedere due scheletri con vene e nervi scoperti: non si sa se si tratti di abili riproduzioni o di un ignoto procedimento di conservazione.
Sono molti i gabinetti dove all’anatomia si affianca la botanica. Un esempio è la collezione di Ulisse Aldovrandi medico e scienziato bolognese (oggi visibile nei musei universitari) che raccoglieva ogni tipo di sostanze minerali e vegetali da cui si potessero trarre medicamenti.
Probabilmente poi, per sopperire alla carenza di corpi da dissezionare o semplicemente come metodo più pratico per insegnare l’anatomia, nasce in Italia verso la fine del Seicento la ceroplastica.

Famose le collezioni del Granduca di Toscana, Pietro Leopoldo. Uno dei maestri di quest’arte fu nella seconda metà del Seicento l’abate siciliano Gaetano Zumbo. Invitato da Cosimo III dei Medici visse per alcuni anni a Firenze dedicandosi alla realizzazione di piccoli teatri in cera, in cui rappresentava la decomposizione dei corpi…

La moda dell’anatomia artificiale deve molto al Museo della Specola di Firenze inaugurato nel 1755 dal granduca e affidato al naturalista Felice Fontana (1730-1805). Questi progettò e fece realizzare una raccolta completa di cere anatomiche a grandezza naturale che testimoniavano tutte le conoscenze dell’epoca sul corpo umano. Modelli di corpi, di singoli organi, di membra smontabili, teste abbandonate su cuscini di seta, corpi scorticati stesi su divani in pose languide…

Alla fine del ‘700, a Napoli, Giuditta Guastamacchia, una donna bellissima -come raccontano gli atti processuali – indusse l’amante, con la complicità del padre e di un chirurgo, ad uccidere suo marito in orrende circostanze. Giuditta e i suoi complici salirono sulla forca il 19 aprile del 1800, in Piazza delle Pigne, condannati all’impiccagione. Testa e mani furono amputate e appese alle mura della Vicaria dietro i graticci di ferro, secondo quanto prevedeva la legge. I teschi della Guastamacchia, del padre, del chirurgo e del sicario noti come «i crani della Vicaria», a partire dal 1869 furono esaminati dal prof. G. Miraglia che compì su di essi studi di frenologia: fu quella la base delle teorie, riprese successivamente da Lombroso, che collegavano alcune caratteristiche fisiche alle devianze mentali e criminali. I crani della vicaria sono oggi esposti al Museo Anatomico di Napoli, uno dei più antichi d’Italia.
Dai primi dell’Ottocento i gabinetti di storia naturale e le collezioni anatomiche vengono sistemati secondo un nuovo ordine e cambia anche la loro funzione: non devono più destare meraviglia. D’ora in poi serviranno soprattutto all’insegnamento.

I giardini botanici
Gli orti botanici, le collezioni di semi e piante vengono adoperati in Italia per insegnare:è una tradizione che risale al XIV secolo. Basti pensare ai Giardini della scuola di Salerno o ai Giardini Vaticani. Si espanderanno insieme allo svilupparsi della botanica medica e della farmacologia.
Francesco Buonafede, professore di medicina all’Università di Padova nel Cinquecento è il primo a insegnare i simplicia medicamenta, le piante medicinali. Oggi questa disciplina si chiama botanica ma all’epoca la parola non era stata ancora inventata. Negli anni ’40 del 500 I primi orti botanici vengono creati a Pisa, Padova e Firenze.

Luca Ghini (1490-1556) insegnante all’Università di Pisa creò un nuovo metodo per studiare le piante inventandosi e costruendo il primo hortus siccus. Le piante venivano pressate e seccate e inserite in un libro: era nato l’erbario. L’hortus siccus rese molto più agevole agli studiosi l’identificazione e la classificazione delle piante. Fu sempre Luca Ghini a fondare a Pisa nel 1544 il primo orto botanico in Europa, finanziato dal Granduca di Toscana Cosimo de’Medici.

Nel 1548 nel giardino botanico ci sono 620 differenti tipi di piante. La prima testimonianza scritta del giardino è in una lettera a Francesco Riccio assistente del Gran Duca ,Ghini chiede di «far acconzare il giardino pulitamente» sistemarlo cioè ordinatamente, in maniera che piaccia a Cosimo ma sia anche «utile alli scolari».
Un anno dopo, nel 1545, fu fondato l’orto botanico di Padova che è oggi il più antico orto botanico al mondo ancora situato nella sua collocazione originaria. Sono tanti gli Orti Botanici in Italia e tutti valgono una visita: Padova, Pavia, Catania, Roma, Napoli e si potrebbe continuare … Basti qui ricordare l’enorme Gingko biloba originaria della Cina nell’Orto di Parma che risale al 1795.

Il mare
Il mare è stato sempre un campo d’indagine molto amato dalla scienza. Molti dei risultati della biologia e della medicina si debbono a studi su organismi marini.
Siamo a Napoli, sul mare, in via Caracciolo. Qui, nei primissimi anni del Novecento il mare arrivava dove ora c’è la Villa Comunale. Su queste rive si montavano i tendoni del Circo e si racconta di quando si esibì Buffalo Bill…Ma stiamo divagando. Un edificio neoclassico al centro della Villa è la Stazione Zoologica Anton Dohrn. La Stazione non è un museo, anche se un piccolo museo esisteva e il suo Acquario è stato il più antico in Italia…ma la sua storia, con venti premi Nobel, è così bella e ancora così importante per la ricerca che non si poteva non raccontarla brevemente in questo personalissimo excursus

Nel 1872 Anton Dohrn (1840-1909) inizia a Napoli la costruzione della Stazione per dimostrare con lo studio degli animali marini la teoria dell’evoluzione di Charles Darwin. Per comprendere perché nasce la Stazione Zoologica, dobbiamo risalire al 1859, anno di pubblicazione di The Origin of Species di Charles Darwin. Il libro provocò in Italia un terremoto: scientifico da un lato, perché era messa in discussione la teoria della fissità della specie (fino allora dominante negli ambienti degli studi biologici italiani che poco conoscevano le teorie evoluzioniste di Lamarck); e sociale dall’altro, perché le teorie darwiniane sull’evoluzione avevano implicazioni politiche, religiose e filosofiche. La visione «creazionista» del mondo, dominante in Italia fino a tutta la prima metà dell’Ottocento, è contraddetta da una nuova concezione organica. Il darwinismo assume di conseguenza in quegli anni una funzione ideologica, politica e progressista in contrasto con le dottrine della Chiesa. Per la prima volta veniva introdotto nell’interpretazione dei processi biologici un elemento unificatore: l’evoluzione della specie.

Anton Dohrn (1840-1909) proveniva da una famiglia benestante. Suo padre, Carl August Dohrn, era proprietario di una raffineria per lo zucchero a Stettino. Anton Dohrn era sostenitore delle teorie di Darwin, ed era convinto che lo studio delle forme più semplici di vita, come gran parte delle specie marine, potesse spiegare meglio i processi di sviluppo degli individui e i processi subiti dagli organismi, dalla loro comparsa sulla Terra fino ad oggi. Dohrn pensò che l’istituzione di una stazione zoologica avrebbe portato prove decisive alle teorie darwiniane e riteneva che la zoologia sistematica dovesse evolversi verso studi che non separassero più gli animali dal loro ambiente e soprattutto che li considerasse nel loro divenire. Per questo scelse, dopo lunghe ricerche, Napoli e il suo mare e si adoperò per trovare I fondi necessari.

Anton Dohrn teneva costantemente informato Darwin sul suo progetto. E lo scienziato inglese sostenne sempre con entusiasmo la Stazione.Diverse istituzioni concorsero all’opera, ma le continue ed onerose necessità finanziarie fecero venire a Dohrn l’idea dei «tavoli di studio». Si trattava di posti di ricerca che potevano essere dati in affitto a governi o ad istituzioni scientifiche. Fu un’iniziativa importante: assicurò una rendita costante alla Stazione e aprì la strada a quella collaborazione scientifica internazionale che avrebbe fatto della Stazione di Napoli un «congresso permanente di scienziati» come il suo fondatore amava ripetere. L’idea dei «tavoli di studio» incoraggiava inoltre l’interdisciplinarietà della ricerca. Dei primi cinque «tavoli» di lavoro, tre furono pagati dalla Prussia e due dall’Italia. Ai «tavoli» della Stazione hanno lavorato negli anni decine di scienziati dai nomi prestigiosi, fra cui come abbiamo detto 20 premi Nobel.

Salvatore Lo Bianco (1860-1910) era il figlio del portiere del palazzo dove abitava Anton Dohrn. A quattordici anni lo scienziato tedesco lo porta con lui alla Stazione per dargli una preparazione scientifica. Fu un successo. Fra le altre cose Lo Bianco inventa un metodo per conservare gli animali marini. Le sue preparazioni saranno vendute, per anni, in tutto il mondo, dalla Russia agli Stati Uniti e il Giappone, e saranno una delle fonti di finanziamento della SZN.
Molti dei metodi adoperati da Lobianco erano segreti e per anni vennero mantenuti tali per espresso volere di Dohrn. Soltanto nel 1890 Dohrn dette il permesso a Lobianco di rendere pubblici i suoi metodi di conservazione. Lo scienziato napoletano aveva messo a punto una serie di nuove procedure di fissaggio, di taglio e di colorazione degli animali che per molti anni rimasero insostituibili per la ricerca.

Parlando di mare e di futuro non posso non citare lo splendido acquario di Genova inaugurato nel 1992. Il più grande acquario d’Europa. Con vasche impressionanti come quelle degli squali e dei delfini: 23 metri per 1.200.000 litri d’acqua dove il visitatore si trova immerse nei riflessi azzurri dell’acqua…
L’elenco dei straordinari musei italiani potrebbe continuare per molte pagine. Per concludere vale la pena di ricordare il museo naturale più visitato in Italia con 250 mila presenze l’anno – lo splendido Museo della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci di Milano – e il Museo tridentino di scienze naturali, una delle istituzioni museali scientifiche più attive nel nostro paese.