Mentre a Milano andava in scena l’atteso meeting non ufficiale tra Matteo Salvini e Viktor Orbán, a Roma si è tenuto l’incontro ufficiale tra il premier italiano Giuseppe Conte e quello ceco Andrej Babis. All’incontro si è arrivati dopo il no netto di Praga alla richiesta del premier Conte di accogliere una parte dei profughi salvati dalla nave Acquarius in luglio. La nave alla fine approdò in Spagna, mentre Babis commentò la richiesta italiana di una ridistribuzione volontaria (ma stabile) con un «è la via per l’inferno». Secondo il premier ceco – come ha ribadito ieri a Conte – l’unica via possibile è la chiusura delle frontiere. «Credo che paesi come l’Italia, Malta, Grecia e Spagna dovrebbero dire chiaramente che non accoglieranno i migranti» ha dichiarato prima di volare a Roma Babis.

Il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale non hanno quasi alcun spazio in questa visione delle cose, a parte l’ormai obbligatorio richiamo agli aiuti ai Paesi di provenienza. Babis certamente spaccia al suo pubblico una visione semplicistica delle migrazioni in atto nel Mediterraneo. Sulla falsa riga della «guerra alla droga», l’oligarca prestato alla politica punta il dito contro gli scafisti e i trafficanti di ogni genere. Gli scafisti guadagnano miliardi di euro, è il secondo business più lucrativo dopo quello della droga, continua a ripetere Babis. Da ciò scaturisce un approccio essenzialmente poliziesco alla questione migratoria con lo strascico di richieste ai paesi confinanti di fare bene il loro lavoro. Non stupisce pertanto che il leader ceco offra all’Italia e agli altri Paesi del Mediterraneo finanziamenti per guardie costiere, poliziotti e tecnologia.

Nel suo viaggio in Italia e a Malta Babis si è portato dietro l’ultimo prodotto di punta dell’industria aerospaziale ceca. Si tratta del velivolo senza pilota PrimocoUav, che secondo il prospetto del produttore è particolarmente adatto per la sorveglianza dei confini. Sul piano interno, con la sua posizione di chiusura ma con «soluzioni concrete», il premier ceco ammicca all’elettorato della destra radicale e a quello più impaurito. D’altronde i suoi alleati di governo socialdemocratici lo lasciano fare senza avanzare obiezioni.

La posizione sui migranti, tuttavia non impedisce a Babis di essere moderatamente a favore dell’Unione Europea. «Chi ragiona di Czexit, mette a repentaglio il nostro futuro» ha sottolineato il premier nella tradizionale riunione degli ambasciatori a Praga di fine agosto. Un orientamento pro Ue cementato, nel caso di Babis, anche dai forti interessi che il miliardario ceco ha in Germania e nella città di Wittenberg in particolare.

Nella visione del premier ceco l’Unione dovrebbe però tornare alle sue origini, quando il suo fondamento fu il mercato interno. Sebbene in implicita polemica con il principio dell’integrazione sempre più stretta, Praga non vuole rimanere del tutto fuori dal principale canale comunitario. Non a sorpresa Praga appoggia Berlino nelle questioni di bilancio e del rispetto rigido dei trattati a scapito invece dell’autonomia decisionale della Commissione europea. Perciò sarebbe illusorio pensare, come fa qualcuno a Roma, di poter trovare nella Repubblica Ceca un alleato nella crociata contro le vecchie istituzioni europee.

Al contrario, da Praga il comportamento italiano viene visto con estremo sospetto. Tant’è che il ministero delle Finanze ceco, particolarmente vicino al premier, considera la situazione del settore bancario italiano e altri shock negativi provenienti dalla penisola come il secondo fattore esterno di maggior rischio per l’economia ceca al pari della Brexit e subito dopo la guerra dei dazi Usa-Cina. Per Praga l’Italia è un campo minato.