Se l’ultima parola deve sempre spettare ai singoli Stati, con un potere di veto in grado di bloccare ogni progetto della Commissione Ue, le istituzioni europee non avrebbero più ragione di esistere. E’ questa logica stringente che già nel pomeriggio fa battere i pugni sul tavolo a Giuseppe Conte davanti agli altri 26 capi di governo, in un Consiglio Europeo paralizzato anche oggi dai diktat dell’Olanda e degli altri paesi nordici, i cosiddetti “frugali”, sul Recovery Fund. Un muro che nemmeno Angela Merkel, chiamata alla mediazione, sta riuscendo ad abbattere.
“Non condividono i trasferimenti e li vogliono ridurre, mettono in discussione anche i prestiti – riepiloga il presidente del consiglio italiano sui social media di fronte a quella che definisce ‘una fase di stallo’ – e vogliono riservarsi un veto sull’attuazione dei budget di spesa che è inaccettabile giuridicamente e politicamente, perché altera l’assetto istituzionale europeo”. Quanto alle riforme da fare all’interno dei “Piani di rilancio”, l’Italia è prontissima a farle, già da settembre. “Ma pretendiamo dall’Ue una seria politica fiscale comune – attacca Conte – per affrontare una volta per tutte, da domani, surplus commerciali e dumping fiscale, e competere ad armi pari”. Un messaggio chiaro all’Olanda per il dumping fiscale, ma anche alla potente Germania, in perenne surplus commerciale.
Resta il dato di fatto che è l’Italia, con l’appoggio dei paesi mediterranei (Spagna, Portogallo, Francia), a difendere sia la Commissione Ue che il Parlamento di Strasburgo: “Difendiamo la proposta e le prerogative della Commissione – insiste Conte – siamo disponibili a entrare nella logica di revisione di qualche dettaglio. Ma non siamo assolutamente disponibili ad accettare una soluzione di compromesso che alteri non solo l’equilibrio tra le istituzioni europee – questa per noi è una linea rossa – ma anche l’ambizione per quanto riguarda l’ammontare del intervento del Recovery, e l’equilibrio interno tra sussidi e prestiti”.
Ma sembra una discussione fra sordi, perché anche di fronte alla proposta di compromesso del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (450 miliardi di aiuti e 300 di prestiti), l’Olanda e gli altri “frugali” non solo chiedono una drastica riduzione degli aiuti, ma che il meccanismo del “freno di emergenza”, proposto sempre da Michel, diventi non una decisione a maggioranza ma un vero e proprio veto che un singolo Stato può porre all’erogazione dei finanziamenti, sulla base di una supposta “insoddisfazione” rispetto all’esecuzione del Piano di rilancio di un altro Stato.
Niente veti, replicano i mediterranei, deve restare la centralità della Commissione Ue nella verifica dei Piani di rilancio. E visto che nella nuova ipotesi di intesa di Michel i “frugali” incassano anche un aumento dei già cospicui sconti al contributo per il bilancio Ue, Conte ribadisce: “«L’Italia ha deciso di affrontare, di sua iniziativa, un percorso di riforme che le consentano di correre. Ma questa di oggi è una discussione spartiacque, perché da domani dovrà essere affrontata in tutte le sedi una riforma organica della politica fiscale europea”.
Perché è paradossale che nell’Ue ci siano sistemi che gli studiosi non esitano a definire “rifugi (o paradisi) fiscali”. Con il risultato che i vantaggiosi schemi di tassazione che alcuni Stati europei – Olanda, Lussemburgo e Irlanda in primis – offrono alle multinazionali e più in generale agli investimenti esteri, si traducono in una riduzione della base imponibile degli altri. Una realtà ben conosciuta, a tal punto che le “raccomandazioni specifiche per Paese” dell’esecutivo europeo, nel caso dell’Olanda censurano apertamente le pratiche di concorrenza fiscale aggressiva, e la legano agli eventuali sostegni economici al Piano di rilancio di Amsterdam.
Di fronte al muro dei nordici, all’ora di cena Conte partecipa ad un altro minivertice con Charles Michel e Angela Merkel, cui si aggiungono poco dopo il premier spagnolo Pedro Sanchez, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e il presidente francese Macron. Più o meno in contemporanea, il Financial Times quantifica che i paesi nordici vogliono ridurre i trasferimenti del Recovery Fund a soli 155 miliardi, dai 325 previsti da Michel. E l’austriaco Sebastiano Kurz, tra i capofila dei “frugali”, fa sapere, soddisfatto: “In tutto questo tempo c’è sempre stato allineamento tra noi. E ora stiamo ricevendo sostegno dalla Finlandia”. Insomma il muro non crolla.