Il ciclone Idai è arrivato il 15 marzo 2019, di sera, con vento e un po’ di pioggia. Poi verso le 22, quando le persone stavano dormendo, è arrivata l’alluvione. Siamo saliti sugli alberi, eravamo anche in 20 o 25 persone su una chioma e ci siamo rimasti per 2 giorni, fino a quando il livello dell’acqua ha iniziato ad abbassarsi ed è così che ci siamo salvati». Quella di Maria Inacio Mutunze è una delle testimonianze raccolte nel documentario Side By Side, prodotto dall’Ong WeWorld, finanziato dall’Unione europea e girato interamente da ragazze e ragazzi mozambicani per mostrare da vicino le conseguenze dei cambiamenti climatici in uno dei luoghi che meno contribuisce a crearli.

LE PROVINCE DI MANICA E CABO DELGADO, in cui è ambientato l’audiovisivo, assistono infatti al rapido intensificarsi di eventi atmosferici estremi, da cui sono state colpite almeno una volta all’anno nell’ultimo periodo: nel 2019 si è trattato dell’impatto devastante dei cicloni Idai e Kenneth (quest’ultimo uno dei più forti avvenuti in Africa, con raffiche fino a 220 km/h), che hanno lasciato distruzione e oltre mille vittime e sono stati seguiti dalla tempesta tropicale Eloise del gennaio 2021. Quando lo scorso inverno è arrivato il ciclone Ana, causando ancora 38 morti e 207 feriti, il Paese si stava appena riprendendo.

«IN MOZAMBICO LA SITUAZIONE sta peggiorando, soprattutto nella parte centro-nord, per l’esposizione sempre più devastante ad eventi meteorologici estremi dovuti al riscaldamento climatico», spiega Stefania Piccinelli, responsabile dei programmi internazionali di WeWorld, che da tempo opera nel paese. «I cicloni Idai e Kenneth sono arrivati nel periodo del raccolto, che era stato ritardato a causa della previa siccità, altra faccia della medaglia rispetto alle inondazioni, per cui le persone del posto, che vivono sostanzialmente di un’agricoltura di sussistenza, hanno perso tutto».

AD ACCORCIARE LA DISTANZA con la realtà colpita è il video, frutto di un processo partecipato con la supervisione del collettivo Narvaloo, che ci trasporta attraverso sentieri e campagne, tra interviste e scorci di una narrazione dinamica, che si tratti di vita quotidiana nei villaggi, di strade distrutte dalle alluvioni o delle simulazioni di primo soccorso improntate affinché la popolazione possa ricorrervi se necessario. «La scelta di utilizzare piccole telecamere che possono essere inserite sul corpo o sui mezzi di trasporto è stata fatta proprio nell’ottica di ricercare una narrazione più autentica possibile, contribuendo a restituire lo sguardo discreto e dal di dentro che solo chi è interno a quelle comunità può raccogliere», ha spiegato Stefano Cioni, che si è occupato della formazione a distanza e sul campo dei documentaristi e del montaggio finale insieme a Daniele Lucchini.

IL RISULTATO E’ UN RACCONTO DI FORTE impatto che non può che renderci partecipi degli effetti concreti dei cambiamenti climatici, attraverso le voci non filtrate di chi li ha vissuti in prima persona, come Chico Domingos Manuel Ferrao, preside della scuola di Manica, che racconta come questa fosse diventata un riparo nei giorni di emergenza e a cui la commozione impedisce di continuare a ricordare. Le action cam entrano nelle case dei mobilizzatori comunitari, organizzati nei 15 comitati per la riduzione del rischio dei disastri ambientali, le cui attività sono portate avanti da Weworld insieme all’Ingd, l’Istituto nazionale mozambicano per la gestione delle emergenze, che ha una funzione simile alla nostra Protezione Civile.

LAVORANDO SU QUELLO CHE VIENE definito «l’ultimo miglio», che vede il coinvolgimento diretto della popolazione per attivare la risposta all’interno delle comunità più vulnerabili, il lavoro svolto sul campo dall’Ong è multiforme e riguarda sia l’emergenza che il lungo periodo. Da una parte si garantisce alle persone sfollate cibo, acqua pulita e accesso alla scuola (l’abbandono scolastico è una delle conseguenze indirette più gravi degli eventi climatici avversi in un’area in cui la scolarizzazione già conosce numerosi ostacoli); dall’altra si cerca di promuovere un’agricoltura sostenibile e resistente e di agire il più possibile per la limitazione dei danni.

L’ALLERTA PRECOCE E LA PREVENZIONE del rischio idrogeologico sono in questo senso aspetti fondamentali e sono messi in atto grazie alla componente tecnica fornita dalla Fondazione Cima, centro di ricerca parte del sistema nazionale di Protezione Civile, che ha sviluppato, insieme alla Direzione Nazionale di Gestione delle Risorse Idriche del Mozambico (Dngrh), uno strumento tecnologico che serve a monitorare il livello delle acque del bacino del fiume Buzi, permettendo di prevedere le alluvioni.

«E’ CHIARO CHE ANNULLARE I DANNI in queste situazioni non è possibile, però si possono sicuramente ridurre e noi ci occupiamo di questo», spiega ancora Piccinelli. «La nostra attività, come si vede dal video, è anche fare in modo che, attraverso la costituzione di comitati locali, i piani di contingenza siano recepiti dalle persone che abitano nei luoghi più esposti, perché abbiano un’informazione che gli permetta di salvare la vita e le poche cose che hanno».

«SIDE BY SIDE» E’ QUINDI UN LAVORO che parla soprattutto di resilienza, di capacità di adattamento di fronte a fenomeni sempre più presenti e che dovrebbero essere limitati agendo altrove. Mentre nei Paesi ad alto reddito si attendono soluzioni efficaci per contrastare il cambio climatico, in Mozambico, dove l’impatto ecologico è praticamente pari a zero, si cercano soluzioni per resistere, come ha espresso il preside della scuola nella sua intervista: «Come gli antichi egizi hanno saputo sfruttare le inondazioni del Nilo per l’agricoltura, trasformando una maledizione in qualcosa di vantaggioso, noi dobbiamo adattarci ai cambiamenti climatici, perché saranno sempre più frequenti e dobbiamo imparare ad affrontarli affinché la vita continui sulla terra come qualcosa di piacevole».

IL DOCUMENTARIO, DOPO AVER partecipato al Terra di Tutti Film Festival, si può vedere al link https://www.youtube.com/watch?v=dkJeA7Es8VU.