Mentre la partita per le presidenze delle camere si complica, il Movimento 5 Stelle pare ripiombare nella confusione degli esordi. Soprattutto, la situazione alimenta l’incertezza che crea diffidenze e non facilita il dialogo auspicato da Luigi Di Maio.

Lo stallo appare evidente in mattinata, quando i vertici cancellano la riunione congiunta dei gruppi parlamentari che doveva ratificare l’ascesa di Roberto Fico alla presidenza della camera e l’accordo col centrodestra. Nell’immediato ingombra la figura di Paolo Romani. Nella prospettiva di governo pesa il fatto che il centrodestra voglia sottoscrivere un accordo come soggetto unitario. Il che significa che il M5S stringerebbe un accordo con Silvio Berlusconi. Per di più sarebbe un patto poco conveniente: i grillini non sarebbero più il primo partito in una compagine di singole forze politiche ma il socio di minoranza in un accordo con la coalizione uscita vittoriosa dalle urne. E quindi addio all’idea di dare le carte e imporre la propria agenda. Nel pomeriggio Luigi Di Maio, reduce da un incontro con Roberto Fico, spiega la situazione: «Ci sono difficoltà nel percorso che porta all’individuazione dei presidenti delle camere – scrive su facebook – Il Pd si è rifiutato di partecipare al tavolo di concertazione proposto dal centrodestra e lo stesso centrodestra continua a proporre la candidatura di Romani che per noi è invotabile. Proponiamo un nuovo incontro tra i capigruppo di tutte le forze». La riunione si tiene in serata, negli uffici del M5S alla Camera. Sancisce la ripresa del giro di consultazioni, con Matteo Salvini che ammette il filo diretto con Di Maio: «In questi giorni sento più lui che la mia mamma».

Nella confusione perde qualche certezza anche Roberto Fico, la cui elezione alla camera fino a ieri mattina era considerato uno dei pilastri dell’accordo. La sua posizione si fa meno facile, per motivi che ancora una volta riguardano la tenuta interna del M5S. Il suo nome rischia di bruciarsi. Se il M5S vuole andare al governo e non può fare a meno di parlare con Berlusconi perché lui dovrebbe fare da parafulmine? La sua elezione alla presidenza della camera, per altro, rischia di apparire come frutto del compromesso indicibile. Ecco un altro segnale del ritorno al passato del M5S: a sbrogliare la matassa interna qualcuno chiama Beppe Grillo, che si trova a Roma per uno spettacolo che aveva rinviato a dopo la campagna elettorale.

I grillini temono che potrebbe essere loro imputata la mancanza di chiarezza. Gli eletti chiedono trasparenza e cominciano a lamentare il mancato coinvolgimento. I mal di pancia arrivano soprattutto dal senato, nella maggioranza dei casi da chi si trova al secondo mandato. «Troppo rischioso cedere al centrodestra per puntare tutto sul tavolo che conduce a Palazzo Chigi», è la valutazione che circola. Siccome l’incertezza è contagiosa, la paura di non condurre il gioco delle presidenze investe direttamente l’horror vacui dell’intera legislatura: «Perso questo primo giro, se non riuscissimo neanche ad andare al governo, rimarremmo con in mano un pugno di mosche». La guerra di nervi è appena cominciata e le battute di Gasparri al Corriere della Sera sui tempi lunghi che dovrebbero consentire al centrodestra unito di erodere preziosi parlamentari al gruppo dei 5 Stelle fanno parte di questo clima. A proposito di campagne acquisti, si apprende che i deputati eletti dal M5S sono 224. Ma il gruppo alla camera si fermerà a quota 220, perché Andrea Cecconi, Antonio Tasso, Silvia Benedetti e Salvatore Caiata, espulsi prima del voto, non verranno per il momento amnistiati. Li attende il gruppo misto.