Il Monte dei Paschi sarà ceduto dallo Stato e riprivatizzato. Ma non certo ora. “L’impegno con la Commissione europea era di chiudere entro il 31 dicembre, ma a condizioni di mercato. Se le condizioni di mercato non ci sono, non concludiamo. E non siamo costretti a farlo”. Parole chiare quelle del direttore generale del Mef, Alessandro Rivera, chiamato dalle commissioni economico-finanziarie del Parlamento a spiegare cosa accadrà alla banca più antica del mondo, dopo la rottura fra Unicredit e appunto il Tesoro, che controlla il 64% circa di Mps.
Alla scontata conferma di aver chiesto a Bruxelles “una proroga adeguata ma non quantificabile in termini di durata”, Rivera ha aggiunto una serie di osservazioni e considerazioni. Tese comunque a ribadire l’assunto principale: “Siamo in Mps solo in funzione di un aiuto di Stato, siamo vincolati a uscire e non è ipotizzabile una presenza sine die nel capitale”. Dunque se ci sarà un terzo polo bancario italiano da aggiungere ai due colossi Intesa Sanpaolo e Unicredit, questo non avrà un’azionista pubblico. “Di pubblico c’è già Cassa depositi e prestiti”, osserva Rivera chiudendo la questione.
La proroga inoltre non sarà a costo zero. “La trattativa con l’Ue comprende anche il tema della rinegoziazione degli impegni presi nel 2017, che non sono stati pienamente rispettati e che riguardano in particolare la riduzione dei costi, riportandoli su un livello di sostenibilità nel lungo periodo”. Quindi “la modifica degli impegni richiederà ulteriori misure compensative a carico della banca, che dovranno essere concordate con la Commissione Ue dal governo, facendo affidamento sull’indispensabile supporto della banca che dovrà definire un nuovo piano che sia all’altezza di questo traguardo. Tenendo conto sia delle note positive che si riscontrano nell’evoluzione dello scenario macroeconomico, sia delle incertezze e dei rischi che tuttora lo caratterizzano”.
Insomma per i 20mila lavoratori e lavoratrici superstiti del Monte, e per la stessa banca, si prospettano tempi ancor più grami di quelli attuali. Anche se Rivera ha un po’ addolcito la pillola, amarissima, del ridimensionamento di quello che pure, anche oggi, resta uno dei cinque principali istituti di credito italiani: “Tra le priorità del ministero c’è quella della salvaguardia dell’occupazione”. E se dovessero esserci ulteriori tagli rispetto a quelli previsti nel piano dell’ad Bastianini, “in ogni caso avverranno con esodi volontari”.
A chi infine ha fatto notare che i conti di Mps sono migliorati nel 2021, il dg del Mef ha replicato: “Il problema della banca sono però i crediti deteriorati e le future perdite che da qui potrebbero scaricarsi sui futuri bilanci. Le ultime rettifiche hanno pesantemente intaccato il patrimonio”, Rendendo necessaria una nuova ricapitalizzazione da 2-3 miliardi. “Lavoriamo a una soluzione di mercato – ha puntualizzato in ultimo Rivera – e se non c’è aiuto di Stato, non c’è burden sharing”. Gli obbligazionisti secondari – fondi et similia – ringraziano.