Quando la sorella gli regalò Il principe e il povero, Maurice Sendak preferì annusarlo a lungo prima di leggerlo. Mark Twain era un nome leggendario, ma a colpirlo non fu la fama dello scrittore. Posò il libro sul tavolo per rimirarlo prendendosi tutto il tempo necessario, poi se lo rigirò fra le mani sempre più sbalordito di quanto fosse bello quell’oggetto da sfogliare: copertina lucente, pagine odorose, resistenza a qualsiasi spiegazzatura. Sprigionava magia. Un’altra cosa rispetto alla collezione Disney, libri stampati su carta di bassa qualità che trovava all’emporio.

SENDAK ERA CRESCIUTO fra i ricordi dei genitori polacchi emigrati negli Stati uniti e Topolino, che per lui aveva rappresentato l’America tout court – anche se poi non gli era piaciuta la sua trasformazione da selvaggio ragazzo di strada topesco in bon vivant, con la verve notevolmente affievolita. Sarà comunque Fantasia di Disney la sua scuola artistica conquistata sul campo: ammaliato, sceglierà di percorrere fino in fondo la strada dell’immaginario, liberando creatività e sagacia, solleticando e provocando la realtà che vivevano gli altri, allontanandosi da quel padre putativo (ma collezionerà per l’intera vita Mickey Mouse, che fu pure il primo personaggio a comparire nei suoi disegni, almeno fra le illustrazioni che si conoscono).

IL GIOVANE VETRINISTA dei favolosi magazzini di giocattoli Schwarz a New York è ormai diventato un grande disegnatore e inventore di storie tra lo spaventoso e l’umoristico (mai sdolcinate né favolette morali utili per l’«addestramento» dei bambini) quando lo incontriamo di nuovo sotto una veste diversa: indossa smaliziatamente i panni del critico letterario e d’arte nel libro Maurice Sendak Caldecott & Co. Note su libri e immagini (Junior edizioni, pp. 272, euro 26, con la prefazione di Sergio Ruzzier e la traduzione di Giulia Nutini).
Sendak, morto dieci anni fa nel 2012, ha sempre detto di rifiutarsi di mentire ai bambini: niente bugie, nemmeno sul loro aspetto che può essere spigoloso e poco armonico. Come dimostra Max, il ragazzino protagonista del fortunato albo Nel paese dei mostri selvaggi (pubblicato da Harper & Row nel 1963, dopo le iniziali diffidenze di bibliotecari e librerie, ha riscosso un successo planetario, vendendo circa 30 milioni di copie).

LA STESSA ETICA guida le sue «recensioni» agli autori e autrici che lo appassionano. Il risultato di questa attitudine anarchica, che ne se infischia delle gerarchie e dei riconoscimenti ufficiali, è una serie di ritratti vivaci, eccentrici, senza ambizioni di classifiche, mescolando nomi classici come Beatrix Potter o Hans Christian Andersen ad altri, noti più a un entourage di raffinati collezionisti. Lothar Meggendorfer, per esempio, «si servì del libro-giocattolo meccanico per mettere in pratica il suo genio» e fu un magnifico maestro di animazione alla fine dell’Ottocento che, pur con una tecnica non priva di limiti, seppe realizzare in modo versatile e affascinante un «incastro di componenti mobili di carta».

MA L’AUTORE PREFERITO è quello che dà il titolo al volume: Randolph Caldecott (Hey Diddle Diddle e Baby Bunting) il quale segnò con le sue opere la nascita del libro illustrato moderno, inventando attraverso le sue filastrocche «un’ingegnosa giustapposizione di immagine e parola», un contrappunto dal ritmo sincopato. E la musica rappresentava per Sendak una fonte sorgiva per la creazione delle sue illustrazioni. Caldecott, amico dei Preraffaelliti (insieme a Walter Crane e Kate Greenaway, è stato uno dei tre illustratori a lavorare con il celebre tipografo inglese Edmund Evans), morì a soli 40 anni dopo aver tratto ispirazione per i suoi animali dalle campagne che percorreva a piedi e prima di lasciare questa terra, ruppe gli argini delle diverse discipline trasformandosi da mero illustratore in un abilissimo direttore di scena, attirando su di sé l’ammirazione sconfinata di Maurice Sendak.

ANDERSEN, invece, provoca all’autore non poca irritazione. Gli rimprovera di aver favorito lo stereotipo del povero figlio del ciabattino che vede la sua vita volgere in una fiaba, ma non può evitare di riconoscere la grande duttilità – e modernità – della sua lingua. E anche la capacità di infondere un soffio di vita negli oggetti inerti della quotidianità. Trova però sadico quel nordico e ghiacciato accanirsi su Karen, protagonista di Scarpette rosse e sulla Sirenetta, mentre salva – per originalità e mancanza di sentimentalismo – il racconto I fiori della piccola Ida.
Molto bello, perché mai ovvio, è l’omaggio tributato a Beatrix Potter, che i suoi vicini piansero come agricoltrice ma che Sendak ricorda – oltre che per Peter coniglio – per quel diario scritto in codice in cui la giovane donna beneducata sotto i severi auspici vittoriani, abbozza un’autoanalisi attraverso minuzie e dettagliate narrazioni di sé. Un canovaccio esistenziale tutto redatto in una assorta solitudine.