Con un cortometraggio già praticamente finito – Il bruco Boro dovrebbe essere infatti proiettato nel museo dello Studio Ghibli entro la fine dell’anno e chissà forse già in estate – Hayao Miyazaki ha ufficialmente e definitivamente rotto il suo pensionamento. La scorsa settimana lo Studio Ghibli ha infatti postato un annuncio per assumere giovani animatori; lo studio che ricordiamo è «svuotato» ed in uno stato di sospensione con la maggior parte dei suoi ex-dipendenti emigrata verso altri lidi.
L’annuncio è relativo al nuovo lungometraggio a cui Miyazaki sta lavorando, definito il suo «ultimo film», ma ormai sembra quasi uno scherzo viste tutte le volte che il regista giapponese ha appeso la matita al chiodo. Al di là dell’interesse per la notizia in sè , l’annuncio ci fornisce l’occasione per una breve panoramica sulla situazione salariale e lavorativa nel mondo dell’animazione giapponese.

Entrando nel particolare, lo studio nipponico sta cercando due tipologie di animatori, gli «in-between», cioè coloro che si occupano dei disegni di collegamento, ed i background artist, disegnatori incaricati di realizzare scenografie e sfondi. I posti di lavoro sono aperti a giovani animatori di qualsiasi nazionalità, benché abbiano una buona conoscenza del giapponese naturalmente, per un contratto della durata di tre anni a partire dal prossimo primo ottobre. La parte interessante e quella che ha scatenato discussioni in rete, anche se ad essere sinceri tutto oramai genera discussione nel web, è quella in cui vengono descritte le condizioni economiche del contratto. Cinque giorni alla settimana dalle 10 alle 19 con un mensile a partire da 200 mila yen, circa 1600 euro, più tredicesima e quattordicesima.

Le critiche provenienti specialmente dagli Stati Uniti non si sono fatte aspettare: «Come è possibile che uno studio così prestigioso paghi una miseria i suoi animatori?» è stata una delle frasi più eleganti che sono circolate sui social. Ma America e Giappone sono davvero due continenti diversi quando ad essere paragonate sono le condizioni lavorative degli animatori, fin dai suoi inizi il mondo dell’animazione e quello dei manga è stato infatti uno dei più duri e selvaggi e che più rifletteva la mentalità «do la vita per il lavoro» tipica del Giappone post bellico, orari impossibili (anche 13, 14 ore al giorno) per paghe davvero risibili. Le cose non sono cambiate poi tanto in tutti questi anni, ciò che si vede e che arriva nelle case della gente, lungometraggi, serie animate e fumetti belli e finiti, sono solo la parte luminosa di un mondo con moltissime ombre.

Purtroppo non sono rari i casi di morte per troppo lavoro o di suicidio e i dati alla mano relativi al 2015 ci dicono che oggi la paga mensile di un animatore è in media meno di 700 euro al mese a dispetto di 11 ore lavorative al giorno, con un solo giorno libero alla settimana. La cosa diventa ancora più curiosamente tragica se pensiamo che in cima ai guadagni nel mondo dell’animazione ci sono coloro che danno la voce ai personaggi, a cui seguono «naturalmente» i produttori, i registi con all’ultimo scalino proprio gli animatori, anche, se non soprattutto, quelli sottopagati nel sud est asiatico.

Una ferita aperta che proprio lo Studio Ghibli aveva provato a suturare al momento della sua nascita un trentennio fa quando aveva deciso di assumere dei dipendenti fissi, cosa rarissima per uno studio di animazione, ma che con l’andar del tempo si è rivelata una scelta insostenibile e parte della motivazione che ha portato alla sua parziale chiusura.

matteo.boscarol@gmail.com