«Prey» non è solo un videogioco ma un vero e proprio pezzo ultraventennale dell’industria videoludica. Tutto comincia nel 1995 quando 3D Realms annuncia un nuovo spettacolare sparatutto in prima persona. Come un altro, ben più famoso gioco della software house texana, Duke Nukem’ Forever (il cui sviluppo inizia ufficialmente nel 1997), anno dopo anno si trasforma in un miraggio per cui viene coniato il termine «vaporware». E invece: a sorpresa (ancor più di Duke Nukem’ Forever, che però ci metterà 5 anni in più a vedere la luce) nel 2006 Prey viene pubblicato e si dimostra un prodotto bello ed interessante, purtroppo parzialmente oscurato da hype e attesa eccessivi. In quel primo Prey il giocatore vestiva i panni di un indiano Cherokee che doveva fronteggiare un’invasione aliena. Molto interessante per l’epoca l’implementazione nel gioco di scenari a gravità artificiale e di portali di teletrasporto (prima che venissero resi famosi da Portal). In qualche modo anche l’«impossibilità» di morire (il protagonista in caso di morte viene portato nell’aldilà ed aiutato e consigliato dagli spiriti degli antenati) anticipa le camere della vita di BioShock. La sostanziale buona accoglienza spinge comunque ad annunciare la messa in cantiere di un

Prey 2 da parte del publisher 3D Realms, d’accordo con gli sviluppatori di Human Head. Ma nel 2009 il franchise viene acquistato da Bethesda/ZeniMax che passa lo sviluppo non di un seguito ma di un reboot agli sviluppatori francesi di Arkane Studios già responsabili dei due Dishonored. Il nuovo Prey, da poco uscito (per PC, Xbox One e PS4), ha ben poco in comune con l’originale anche se paga svariati debiti ad altre serie ben conosciute: dall’originale DOOM da cui riprende l’idea di una stazione spaziale isolata «infestata» dal nemico; dallo stesso DOOM e da Half-Life quella degli alieni che «infestano» e trasformano gli esseri umani intorno a noi; dai vari Deus-Ex il sistema di potenziamenti che porta il gioco ad assumere aspetti ruolistici; non da ultimo da Fallout l’idea di ambientarlo in un presente alternativo. A chi gioca da tanto tempo coi videogiochi, Prey si presenta pertanto come un «patchwork» di elementi presi dalle fonti più disparate, ma questo è un difetto solo per i giocatori più vecchi. Giocato invece senza stare a cercare riferimenti, debiti e citazioni, il nuovo Prey di Arkane/Bethesda è un gioco semplicemente stupendo, sempre più appassionante man mano che avanziamo nel suo gameplay e nella sua trama.

Nei panni (maschili o femminili a nostro piacimento) di Morgan Yu dovremo scoprire i misteri della stazione spaziale Talos 1, costruita dalla società TranStar per studiare le potenzialità degli alieni Typhon scoperti da Usa e Urss durante l’esplorazione spaziale fin dagli anni ’60 e che ha portato le due superpotenze a superare le divisioni. Lo studio dei Typhon ha condotto all’implementazione di avanzamenti che si affiancano a tradizionali potenziamenti quali abilità di hacking, forza fisica, capacità d’infiltrazione, ecc. Per acquisire tali potenziamenti non dobbiamo raccogliere punti esperienza come normalmente accade nei giochi di ruolo, ma piuttosto iniettarci NeuroMod che troveremo in giro per Talos 1 o che potremo produrci con gli assemblatori. Quando riusciremo ad indossare uno Psicoscopio, potremo analizzare i poteri dei Typhon ed utilizzare i NeuroMod per renderli nostre capacità effettive. Morgan è il fratello/la sorella di Alex, direttore di Talos 1 e uno dei principali collaudatori di NeuroMod. Ma la situazione su Talos 1 sfugge di mano e la stazione viene invasa dai Typhon (sorta di ragni che riescono a mimetizzarsi camuffandosi in arredi quali sedie o casse) che attaccano gli esseri umani e prendono possesso dei corpi mutandoli in armi biologiche.

La situazione non è però semplice come sembra, dato che ben presto si scopre essere il frutto di trame di Alex mentre ci troviamo al fianco misteriosi e non sempre disinteressati alleati. Dal punto di vista del gameplay, dato il limitato arsenale a disposizione, è privilegiata l’esplorazione e la capacità di aggirare i nemici o di massimizzare i risultati del confronto studiandone i punti deboli. Tre sono gli elementi maggiormente caratteristici del nuovo Prey che ci aiuteranno a sopravvivere nella stazione infestata: lo Psicoscopio che ci consente di studiare gli avversari e adottare le adeguate contromisure oltre che apprenderne le abilità segrete tramite i NeuroMod, la più evidente delle quali è la perfetta mimetizzazione; la possibilità di riciclare oggetti ed elementi e di sfruttare i materiali grezzi per assemblare armi, munizioni, NeuroMod, medikit, ecc. che in aggiunta alla granata riciclante che una volta attivata ricicla in materiali grezzi tutti gli oggetti nel suo raggio d’azione compresi nemici e noi stessi se non facciamo attenzione ci porta ad esplorare tutti gli ambienti per recuperare oggetti da riciclare in scorte; infine il cannone GLOO – unica «arma» disponibile fin dall’inizio che spara proiettili che si trasformano in nuvolette di schiuma che non uccidono gli avversari ma li rallentano e soprattutto possono essere usate per raggiungere ambienti altrimenti inaccessibili perché troppo in alto o isolati da fuoco o campi elettrici.

Alla fine Prey è l’antitesi del modello del franchising: il gioco del 2017 non ha nulla in comune col gioco del 2006 se non il nome. Il successo di questo reboot totale dovrebbe insegnare all’industria di oggi che la strada non è sempre quella della riproposizione infinita di un format ma piuttosto trovare chi riesca con gusto a creare o anche a riassemblare genialmente il peso ormai non più indifferente di quanto creato in campo videoludico fino ad oggi.