Meiko Kaji rimane ancora oggi una delle attrici giapponesi più riverite e conosciute in occidente, soprattutto grazie ai ruoli che ha interpretato negli anni settanta in lungometraggi come Female Prisoner 701: Scorpion e Shurayukihime (Lady Snowblood). Benché la sua presenza si sia rarefatta dagli anni ottanta in poi – solo sette film dal 1980 alla sua ultima partecipazione ad un lungometraggio, nel 2006 – Kaji è rimasta attiva durante tutti questi anni specialmente con dei ruoli in serie televisive.

È notizia di pochi giorni fa che l’attrice giapponese ritornerà sul grande schermo questo autunno, Covid-19 permettendo, in un film intitolato Tsumi no koe (La voce del crimine) con protagonisti fra gli altri Shun Oguri e Gen Oshino. Si tratta di un lungometraggio tratto da un libro che si ispira liberamente agli avvenimenti conosciuti in Giappone come «il caso Glico Morinaga», una serie di crimini perpetrati da un gruppo/persona che si firmava come «il mostro dalle 21 facce».

Uno dei simboli più riconoscibili del paesaggio urbano della città di Osaka è senza dubbio l’enorme cartellone pubblicitario della compagnia dolciaria Glico nella centralissima Dotonbori. Fondata nel 1922 da Riichi Ezaki l’azienda fu al centro del caso in questione, un’estorsione cominciata il 18 marzo del 1984 quando due uomini rapirono l’allora presidente della Glico Katsuhisa Ezaki chiedendo un riscatto di un miliardo di yen e 100 chili di lingotti d’oro. Fortunatamente Ezaki riuscì a fuggire alcuni giorni dopo, ma il 10 aprile fu appiccato il fuoco ad alcune macchine vicino all’ufficio centrale della compagnia e una settimana dopo una busta con acido cloridrico fu indirizzata alla Glico. Questi fatti vennero rivendicati il dieci maggio quando l’azienda dolciaria ricevette una serie di lettere intimidatorie firmate «il mostro dalle 21 facce», nome derivato dai racconti del famoso autore giapponese Edogawa Ranpo.

La situazione precipitò quando «il mostro» scrisse di aver avvelenato le caramelle della Glico con cianuro di potassio causando il ritiro di molti dei suoi prodotti ed una conseguente perdita finanziaria di molti milioni di yen. Abbandonata la Glico «il mostro» cominciò a prendere di mira e minacciare altre compagnie dolciarie o comunque collegate all’industria alimentare, come ad esempio il colosso Morinaga . Il caso si protrasse per mesi, con inseguimenti e sospetti, macchine trovate abbandonate, identikit e indizi dati dallo stesso gruppo/persona, un continuo prendersi gioco della polizia che «il mostro» spesso dileggiò per la sua incompetenza. Dopo diciassette mesi dal rapimento di Ezaki, il sette agosto 1985, il soprintendente Yamamoto della polizia di Shiga, prefettura dove alcuni dei fatti ebbero luogo, sopraffatto dal senso di colpa per non riuscire a risolvere il caso si cosparse di benzina e si diede fuoco.

La morte del poliziotto, e davvero qui i fatti sembrano venir fuori direttamente da un film di yakuza, convinse «il mostro dalle 21 facce» a spedire l’ultima lettera in cui di fatto dichiarava che il sacrificio di Yamamoto era servito a fermare tutte le estorsioni ed i ricatti verso le aziende alimentari.
Il caso Glico Morinaga rimane uno dei casi irrisolti più famosi nel Sol Levante ed era inevitabile che prima o poi anche l’industria cinematografica cercasse di portare la storia sul grande schermo. Non solo per il mistero e per le vicende tragiche e romanzesche avvenute nel corso di un anno e mezzo, ma anche perché il tutto successe nel bel mezzo degli anni ottanta, periodo spesso considerato e percepito come pacifico, solo pop e niente altro.

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