L’arte si fa trasformazione responsabile nella società. Il progetto legato al terzo Paradiso nasce dal presupposto delle mie opere: un lavoro che parte dalla ricerca di identità e che si sviluppa attraverso l’autoritratto.

Nel quadro specchiante ho introdotto la mia persona: non più semplicemente dipinta sulla tela, come tradizionalmente avviene, ma su una superficie riflettente nella quale sono introdotte anche le persone che guardano l’opera, e ne diventano in questo modo parte attiva. Il senso di questa fruizione è la moltiplicazione dell’autore nella società e quindi l’estensione dell’arte come elemento comprensivo della società intera.

L’autore, in questo modo, esce dal quadro ed entra nella vita: la virtualità e la realtà possono finalmente dialogare e confrontarsi attivamente. Questo significa che l’arte può via via interagire con il sociale, con la politica, l’economia, con l’educazione e la religione. L’arte entra nelle questioni sociali impellenti e quindi, inevitabilmente nel nostro tempo, assume in sé la questione dello sviluppo sostenibile. È a questo punto che entra in gioco il «Terzo paradiso».

Cosa intendo, per Terzo Paradiso? Mi riferisco all’unione tra il paradiso naturale e il paradiso artificiale.

Il primo è simbolicamente rappresentato in un cerchio, il secondo nel cerchio opposto. Essi si connettono nel cerchio centrale per creare insieme un terzo elemento che prima non esisteva.

Questo triplo cerchio infatti è il simbolo-formula della creazione. Non è una verità ipotetica, non è un dio fittizio, è una fenomenologia riguardante l’esistente, verificabile scientificamente. Oltre che formula della creazione è anche simbolo di equilibrio e armonia. Il nostro obiettivo è quello di creare il terzo stadio dell’umanità, che ho chiamato Terzo Paradiso.

La Terra è la nostra sopravvivenza. Noi umani siamo diversi da ogni altro essere esistente perché sappiamo pensare. Il pensiero ci ha portati a creare un mondo artificiale spinto ormai alle estreme conseguenze. Questo mondo, oltre a offrirci grandi benefici, ci conduce verso un insensato degrado. Basta guardare alla speculazione finanziaria che ha assunto proporzioni abnormi: ha trasformato la realtà del lavoro in una vana chimera. Stiamo già usando i profitti di ipotetiche attività produttive delle prossime generazioni. Contemporaneamente si fa profitto con le guerre distruggendo interi paesi per poi far guadagno sulla ricostruzione.

Questa è una mostruosità creata dal genere umano. L’economia dovrebbe invece imitare la natura nella quale tutto nasce, muore e rinasce continuamente con un equilibrio dinamico tra conservazione e rinnovamento. Un bosco è apparentemente sempre uguale, ma dentro tutto cambia. L’essere umano, invece, taglia il bosco e crea il deserto. E ancora, crea deserto e alluvioni con l’estrazione e l’uso di materiale fossile, che alterano la biosfera.

Per la nostra sopravvivenza dobbiamo trovare un equilibrio tra le attività umane e la natura. Il progetto mondiale dell’Onu sulla sostenibilità deve esserci da guida. Attualmente, a livello globale, si sta lavorando molto bene in questa direzione con la produzione di energia elettrica solare, nonostante alcuni Paesi siano ancora restii a seguire questa via dell’utilizzo di energia pulita e continuino con quella fossile.
Può darsi che fra 100 anni l’umanità sarà scomparsa o che esisterà sotto forma di robotica, ma questo non si può sapere. So soltanto che in questo momento sono molto arrabbiato, perché nessuno mette in luce il problema fondamentale dell’eccessiva moltiplicazione degli esseri umani sul pianeta.

Noi abbiamo oggi una possibilità, attraverso la tecnologia, di lavorare fino a tarda età senza aver bisogno di usare i muscoli, quindi si possono limitare ai giovani le attività fisiche, ma nello stesso tempo pensare che non è più così grave invecchiare. Non è necessario morire presto per lasciare posto ai giovani. In realtà, basterebbe che nascessero meno persone per lasciar posto all’umanità. Questo è di basilare rilevanza: bisogna che si smetta di pensare che noi bianchi rischiamo di essere in meno dei neri, i neri in meno dei gialli, i gialli in meno dei blu… possiamo essere tutti bianchi, neri, verdi, gialli, blu, marroni, non conta! Possiamo essere di una tonalità cromatica che non è ancora nata, data dalla mescolanza dei vari colori. E, se per caso un colore predominasse sull’altro, cosa mi importa? È sempre l’essere umano, a prescindere dal colore, ad avere la responsabilità del suo pianeta.