I simboli sono importanti, ma la sostanza, specie in politica, è altra cosa. Questa è la “morale” che si può trarre dalla prima giornata milanese di due ministri del governo Letta. Angelino Alfano, agli Interni, è salito al nord con in dote 140 poliziotti in più da distribuire su un territorio già militarizzato – e tutti ringraziano, dal sindaco Pisapia al governatore Maroni. Un “regalo” che non per caso viene enfatizzato, soprattutto a destra, a pochi giorni dal massacro compiuto a colpi di piccone da Mada Kabobo, un ghanese folle: tre i morti.

Cécile Kienge, all’Integrazione, invece ha partecipato molto volentieri alla cerimonia organizzata al Castello Sforzesco dal Comune di Milano per consegnare la cittadinanza simbolica a tutti i bambini nati in città da genitori stranieri. Pierfrancesco Majorino, assessore comunale alle politiche sociali, con queste parole ha spiegato l’iniziativa: “Sono bambini che nascono a Milano, giocano e studiano a Milano. Sono milanesi a tutti gli effetti. Non è un benvenuto quello di oggi perché siete già tutti milanesi, la ricchezza della nostra città sta proprio nelle biografie che ciascuno di noi ha alle spalle”. Parole di raro buon senso, pronunciate davanti a 200 bambini stranieri accompagnati dai loro compagni di classe di origine italiana.

Ma è inutile girarci intorno. La visita dei due ministri a Milano è la fotografia più nitida di cosa potrà e non potrà fare questo governo di larghe intese che pende a destra. Perché mentre Alfano, almeno senza strafare, ha cominciato a dare soddisfazione con la solita ricetta che la destra utilizza per aumentare il consenso – più paura, più polizia, più repressione – il ministro Kyenge, dopo essere stata più volte insultata solo perché nera, e addirittura additata dai leghisti come la responsabile morale del triplice assassinio di Niguarda, non ha potuto far altro che dare una sacrosanta lezione di antirazzismo, nella speranza che l’Italia diventi un paese accogliente e sappia “approfondire il tema della cittadinanza senza rigidità, senza pregiudizi e lontano da schemi ideologici”. Per il ministro è la società che lo chiede. “Il meticciato è già realtà – ha detto – è la fotografia del paese, e questo fatto impone un cambiamento di visione generale, è la base per costruire un paese moderno e un’Italia migliore”.

Il suo è stato un messaggio di fiducia, “il meticciato è una parola che fa paura, ma la ricchezza di un’identità viene proprio da questo”. Del resto giocava in casa, essendo Milano la città con il più alto tasso di integrazione d’Italia, “credo che iniziative come queste siano una buona pratica che bisogna sostenere con forza, un segnale che non deve dare solo il Comune di Milano, le differenze sono una risorsa e non devono fare paura”. I bambini sono i primi a saperlo, perché vivono mescolati senza nemmeno chiedersi il perché. I minori residenti a Milano sono 200.634 e di questi ben 45.793 sono nati da genitori stranieri (il 22% del totale). Un numero quasi triplicato rispetto al 2001. E sono più di 34 mila (cioè il 74%) quelli nati in Italia,  cioè italiani a tutti gli effetti in base al principio dello “ius soli”. Il ministro ieri ha anche ricevuto un invito dal parlamento europeo, accompagnato dalle parole del presidente della Ue Schultz cui è stata consegnata una petizione per chiedere le dimissioni dell’europarlamentare Borghezio, colpevole di averla apostrofata con insulti razzisti: “Le sue affermazioni sono una vergogna per il parlamento Ue”.

Il ministro per l’Integrazione, per tornare in Italia,  dovrà abituarsi alle provocazioni. Anche ieri, per esempio, è stata trascinata in un fastidioso siparietto orchestrato dal consigliere comunale di Milano della Lega Alessandro Morelli che l’ha inseguita per stringerle la mano declamando la sua sceneggiata davanti alle telecamere. Ma la scorta non l’ha fatto avvicinare e lui, tutto gongolante, si è risentito: “Volevo solo stringerle la mano, mi sono presentato più volte ma è scappata via, i politici della Lega non si comportano così, forse la Kyenge ha un’idea diversa della politica”. Speriamo bene.