C’è un vizio d’origine, ed è legato alla missione del gruppo di lavoro istituito nel 2020 e che ha prodotto la relazione sul Ponte sullo Stretto di Messina: non avevamo bisogno di una descrizione vaga delle alternative, ma di capire quale fosse la alternativa migliore», sottolinea Stefano Lenzi. È il responsabile dell’Ufficio relazioni istituzionali Wwf Italia, tra i curatori del rapporto con cui le organizzazioni ambientaliste hanno presentato le proprie osservazioni alle analisi del Gruppo di lavoro incaricato dal ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile che hanno di fatto riaperto l’affaire Ponte sullo Stretto. «La questione del Ponte inizia ad essere valutata negli anni Settanta e se dopo più di cinquant’anni non si è ancora arrivati a realizzare un’infrastruttura, evidentemente ciò si deve al fatto che una soluzione non c’è», sottolinea Lenzi.

Nel vostro documento contestate l’idea che esista già un progetto definitivo per il ponte a campata unica, come descritto nel rapporto degli esperti del ministero. Perché?

Si è lavorato dal 2003, dopo l’approvazione della Legge Obiettivo, a un’ipotesi di attraversamento che prevedeva la realizzazione di un ponte a campata unica lungo oltre 3 chilometri ma non esiste alcun progetto definitivo approvato: il general contractor Eurolink, capofila Impregilo (oggi Webuild), non ha mai prodotto, perché non ha voluto o perché non è riuscito a farlo, gli atti aggiuntivi con specifiche di carattere tecnico ed economico-finanziario che erano state richieste dal governo Monti nel 2012: questo significa che il progetto non è naufragato per un intervento normativo, che sospendeva gli atti di concessione per avviare una interlocuzione con il general contractor, ma perché gli approfondimenti richiesti dall’esecutivo non sono stati prodotti. È il general contractor, nei fatti, ad aver sancito la chiusura del progetto del Ponte sullo Stretto a un’unica campana. Ciò che questa storia lascia sono solo una mare di carte, la vicenda della società pubblica Stretto di Messina spa, oggi in liquidazione, che è costata secondo la Corte dei Conti oltre 300 milioni di euro per studi, approfondimenti, progetti.

Quali altri vizi nella relazione presentata a maggio dal gruppo di lavoro istituito dall’allora ministra Paola De Micheli?

Nel 2013, a seguito delle mancanze del general contractor, lo Stato italiano ha deciso di non procedere più avanti. Riteniamo, perciò, che nella relazione non ci sia né possa esserci alcun tipo di novità. Riproporre l’idea dei tunnel, anche solo citarla, come viene fatto, è un’assurdità in termini: quella presentata non è una relazione di carattere tecnico, visto che l’unico progetto «maturo», come si dice in questi casi, è quello del ponte a campata unica, mentre per l’alternativa a più piloni non esiste nemmeno uno straccio di progetto. Anche per questo consideriamo la relazione irricevibile. Consigliamo vivamente di valutare realmente le alternative, a partire dal potenziamento del traghettamento. Ci auguriamo che il ministro Enrico Giovannini, riconoscendo e valutando tutti i limiti di questa relazione, vada in questa direzione.

Il costo dell’opera, nell’unico progetto redatto, supera gli 8 miliardi di euro. Chi lo paga?

Nei progetti presentati da Eurolink era prevista una «gabella», un canone per l’utilizzo che Ferrovie avrebbe dovuto pagare a chi avrebbe gestito l’opera. Era chiaro che la costruzione del Ponte non si sarebbe mai ripagata con la mobilità ferroviaria e nessuno sapeva (né sa) quale sarebbe stato il pedaggio per l’attraversamento in automobile. Inoltre, la stima del traffico giornaliero di autovetture e mezzi pesanti era (ed è) gonfiata, intorno ai 17.500 veicoli giorno, quando l’infrastruttura era dimensionata per 100 mila. Qui un elemento di novità nella relazione c’è: per la prima volta si afferma che il project financing non esiste, che i costi per la realizzazione del Ponte sullo Stretto dovrebbe sostenerli il pubblico, per un intervento che se nel 2012 costava oltre 8 miliardi di euro non sappiamo che spesa potrebbe comportare nel 2021, con le prescrizioni a cui non è mai stata data risposta, modifiche che senz’altro modificherebbero il budget. Aggiungo che gran parte del traffico è dato da una «mobilità locale», utenti per i quali si dovrebbero prevedere abbonamenti o tariffe agevolate. L’equilibrio economico e finanziario del gestore non c’è: toccherebbe tutto ad Anas e a Rfi, che sono notoriamente aziende pubbliche. A carico dei bilanci delle due aziende ci sarebbero poi anche i costi per la gestione e per la manutenzione.

Un’altra questione aperta: questo progetto ce lo chiede l’Europa, serve all’Europa?

Due settimane fa, la Commissaria ai trasporti Adina-Ioana Valean, a nome della Commissione Europea, ha risposta a una interrogazione presentata a marzo 2021 dalle eurodeputate Tardini e Bonfrisco della Lega, ribadendo che il Ponte non è una priorità per l’Europa. Vale la pena citarla: «Per quanto riguarda il collegamento tra la Sicilia e il continente italiano, la valutazione di un progetto sulla rete Ten-T può essere effettuata solo sulla base di una proposta concreta e matura dello Stato membro che dimostri in particolare il valore aggiunto dell’Ue per la rete. Questo è anche un prerequisito per un eventuale contributo finanziario dell’Ue. Finora le autorità italiane non hanno presentato alla Commissione piani concreti in merito a tale collegamento». La Commissaria ha aggiunto anche che gli interventi finanziabili con risorse pubbliche dovranno rispondere agli obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici del Green Deal, mentre la relazione del gruppo di lavoro immagina che il Ponte sia attraversato da quei camion che oggi raggiungono l’Italia navigando dalla Sicilia verso la Campania o la Liguria, riportando traffico su gomma. Non darebbe alcun contributo alla decarbonizzazione.

L’Italia dovrebbe pagare penali se rinunciasse al Ponte?

È una questione infondata. Lo sostiene il general contractor, ma quella del Ponte sullo Stretto è una questione chiusa: i contratti prevedevano le penali soltanto se ci fosse stata la consegna del progetto definitivo, completo di tutte le sue parti. Ma non c’è mai stata. Ce lo hanno confermato il commissario liquidatore della Stretto di Messina spa e l’ex capo di gabinetto del ministro delle Infrastrutture.