L’estensione della sperimentazione del cosiddetto “liceo breve”, promossa con il decreto del ministero dell’Istruzione n. 344 del 3 dicembre 2021, è un colpo violentissimo al diritto costituzionale all’istruzione.
Finora non c’è stata un’adeguata risposta dei sindacati di categoria e sugli organi di informazione non si sono letti commenti preoccupati.

La sperimentazione del “liceo breve”, inizialmente riservata a un centinaio di scuole, è stata introdotta con un decreto della ministra Valeria Fedeli nell’agosto del 2017. L’allargamento voluto dal ministro Patrizio Bianchi interessa ora mille istituti superiori, una scuola su sette. L’obiettivo professato dalla manovra ministeriale è di adeguare l’età di uscita dalla scuola superiore a quello di circa la metà dei paesi Ue. Quello implicito è di togliere altre risorse alla scuola (circa 1 miliardo e mezzo) e, soprattutto, rafforzare il pensiero sotteso a tutte le sedicenti riforme imposte da trent’anni a questa parte: una scuola pubblica di qualità è un lusso che non possiamo permetterci. Questo principio ha trovato sostegno, nel corso del tempo, in diverse teorie pedagogiche che, com’è noto, durano il tempo di una promozione, di una pubblicazione, di un incentivo.

La strada maestra che ha condotto all’introduzione del “liceo breve” fu tracciata dal ministro Luigi Berlinguer, responsabile della fallimentare riforma universitaria del “tre + due”. Berlinguer aveva prefigurato anche il taglio di un anno nel tradizionale percorso scolastico, ma a quel tempo, misteriosamente, le teorie pedagogiche più alla moda assicuravano che fosse necessario cancellare un anno dal primo segmento del percorso, tra le elementari e le medie.

L’importante, dal punto di vista dell’apparato pedagogico-ministeriale, era evidenziare l’elefantiasi del sistema, che avrebbe avuto bisogno di un massiccio intervento di tagli. Il rilievo dato alle teorie pedagogiche del momento, e l’utilizzo acritico delle prove internazionali basate su test, erano funzionali alla delegittimazione del sistema scolastico, a cui facevano da grancassa gli organi di informazione, per lo più conformati all’ideologia dominante.

L’incoerenza e la contraddittorietà hanno segnato quasi tutte le riforme degli ultimi trent’anni. Quella universitaria – che qualcuno ha ironicamente definito del “tre + due = zero” – mirava a ridurre di un anno il percorso di studi, ma ha prodotto di fatto da un lato elevatissimi abbandoni, dall’altro un allungamento del cursus universitario, se si considera il conseguimento, spesso imprescindibile, della laurea magistrale.

Ora per il cosiddetto “liceo breve” il rapporto qualità-quantità si è rovesciato rispetto alla riforma universitaria: allora si badava solo al numero dei laureati, tralasciando la qualità degli studi, adesso la quantità viene messa tra parentesi perché si punta sulla “qualità”, che non solo non ha unità di misura, ma è considerata una formula magica che non richiede di essere sottoposta a verifica. E difatti la sperimentazione del “liceo breve” è stata forzatamente allargata ancor prima di conoscere le conseguenze della prima fase, contravvenendo a quanto stabilito dal decreto ministeriale con cui tale cambiamento era stato introdotto.

Di certo moltissimi studenti sperimenteranno un accorciamento del tempo dedicato alla formazione, sempre in omaggio all’ideologia pragmatista del “fare” e del “produrre risultati”. Oltre a questo imbroglio ce n’è un altro ancora più insidioso. Il ministero dell’Istruzione ha messo in piedi una specie di concorso tra le scuole italiane con in palio l’assegnazione del percorso abbreviato. Per vincere l’anno di sconto le scuole candidate dovranno ingegnarsi nello scovare il modo più fantasioso per fare a pezzi il piano di studi tradizionale (e nazionale), con l’elevato rischio di una limitazione della libertà di insegnamento e di una digitalizzazione indiscriminata del lavoro scolastico.

Quindi la balcanizzazione dei piani di studio, di cui le stesse scuole si renderanno responsabili, sarà associata a un presunto ammodernamento del sistema scolastico, tutto da dimostrare, che giungerà quando ormai nessuno si ricorderà che esisteva una scuola italiana eccellente.