Sono piccoli impianti ma possono fare un grande danno. Inoltre il loro contributo al settore delle energie rinnovabili, è irrisorio. Allora perché continuare a incentivarli? E’ quello che si chiedono i comitati ed associazioni sulle Alpi e gli Appennini riuniti nel Coordinamento Nazionale Tutela Fiumi- Free Rivers Italia, il cui obbiettivo è quello di tutelare gli ultimi tratti fluviali ancora naturali delle nostre montagne.

STIAMO PARLANDO del «Mini-idroelettrico», gli impianti di sfruttamento delle acque a fini energetici che arrivano fino a 1 MW. Dopo mesi di stallo, è in arrivo il Decreto Rinnovabili Fer 1, quello per l’incentivazione dell’energia da fonti rinnovabili. E chi ha a cuore gli ultimi torrenti alpini è in allarme: contrariamente allo schema di Decreto predisposto dal Ministero dello Sviluppo Economico e presentato all’attenzione della Commissione Europea, che prevedeva un ridimensionamento degli incentivi, quello in dirittura d’arrivo potrebbe reintrodurli. L’intenzione iniziale, ora non più rispettata, era quella di permettere nuovi impianti solamente in ambienti artificializzati, come i canali irrigui, allo scopo di evitare i numerosi danni che interventi realizzati negli ultimi anni hanno arrecato agli ambienti montani: per quanto definiti piccoli, tagliano sentieri, seccano fonti, abbattono alberi, minacciano specie rare. Inoltre non mancano le infrazioni a normative quali la Direttiva Acque, il quadro legislativo di riferimento europeo per le politiche di tutela e di uso sostenibile delle risorse idriche.

UN ALTRO GROSSO PROBLEMA LEGATO alle autorizzazione di derivazione, è quello del controllo e del rispetto del DMV, il quantitativo minimo che deve rimanere all’intero del corso d’acqua, e dei quantitativi massimi derivabili. Gli abusi sono frequenti, complice il fatto che spesso le opere di presa sono ubicate in luoghi isolati e in alta quota e che nella pratica non si fanno controlli e non esistono sanzioni.

Oltre al tema del danno c’è il tema dell’opportunità. L’idroelettrico è la fonte che nel campo delle rinnovabili la fa ancora da padrone, ma questo solo grazie ai grandi impianti. Ora gli impianti fino a 1 MW sono gli unici che si possono ancora costruire, essendo i grandi corsi d’acqua già abbondantemente sfruttati. Il rapporto statistico 2017 del GSE, la società individuata dallo Stato per perseguire gli obbiettivi di sostenibilità ambientale in campo energetico, mostra come la produzione di questi mini- impianti sia sempre stata esigua e adesso anche in calo, in particolare proprio nel 2017, nonostante nel 2016 ne siano entrati in funzione altri 538. E’ stata la stessa Assoidroelettrica , in una lettera indirizzata ai Ministri Di Maio e Costa, ad affermare che sono passati i tempi in cui idroelettrico era sinonimo di guadagni anche significativi. E allora quale deve essere la risposta? Paradossalmente, secondo i produttori, continuare a incentivare: sono state infatti presentate ben 550 richieste di nuove derivazioni. Impianti che, senza l’investimento di soldi pubblici, risulterebbero antieconomici e la cui realizzazione inciderebbe sul bilancio del rinnovabile in maniera irrisoria.

COME PER TUTTE LE RINNOVABILI, la forte incentivazione economica partita nel 2009 ha provocato una corsa agli impianti che soprattutto nel caso dell’idroelettrico ha avuto conseguenze pesanti per l’ambiente, mancando una normativa che tutelasse i corsi d’acqua da quello che è stato un vero e proprio assalto: in 10 anni sono apparsi più di 3 mila nuovi impianti, istallati uno dopo l’altro perché l’affare era ghiotto e più che secondo una logica di produzione si agiva secondo una logica di guadagno. Le acque di piccoli fiumi e torrenti venivano sottratte fino a farli scomparire a fronte di un apporto energetico che è sempre stato molto limitato. Sulla pagina di Free Rivers Italia è possibile per esempio visionare i dati relativi all’anno 2014: i 2304 impianti idroelettrici di potenza inferiore a 1 MW presenti sul territorio nazionale hanno prodotto il 5% dell’energia idroelettrica, contribuendo al 2 per mille dell’energia complessivamente consumata in Italia quell’anno. «Non si tratta di essere contro le rinnovabili, ovviamente – dice Lucia Ruffato, presidente di Free Rivers – ma di rendersi conto che non vale la pena rovinare i nostri fiumi e torrenti per un contributo così piccolo. Questo tipo di investimento non ha futuro». Per il presente di molti imprenditori invece ha ancora molta importanza.

SECONDO LUCIA RUFFATO sono probabilmente le pressioni del settore, con cui fin dal primo momento si è schierata la Lega, che hanno spinto gli stessi ministri Di Maio e Costa, che finora avevano compreso ed accolto le indicazioni frutto di anni di studio e monitoraggio da parte di associazioni e comitati, a fare un dietrofront vissuto da questi ultimi come un deludente, inatteso ed immotivato voltafaccia che rischia di cancellare con un colpo di spugna posizioni faticosamente conquistate.

PREOCCUPATA ANCHE LEGAMBIENTE, che in tanti dossier ha documentato gli scempi provocati da un tipo di sfruttamento che ormai appartiene al passato: il futuro è fatto di impianti su salti artificiali e nuovi pompaggi su impianti esistenti. Elisa Cozzarini è l’autrice di Radici Liquide, un viaggio-inchiesta durante il quale ha percorso le rive di più di 50 torrenti, dalla Valle d’Aosta al Friuli Venezia Giulia per documentare i danni agli ecosistemi alpini causati dalla produzione di un’energia che arrivati a certi estremi «pulita»non lo è più. Per lei, che ha conosciuto la storia di decine di ettari di bosco scomparsi e sentito il ronzio delle centrali coprire il gorgogliare dei torrenti, è assurdo che non si guardino i dati ufficiali che dicono che questi piccoli impianti sono inutili. Solo nel Bellunese, in una sola provincia, si potrebbe arrivare a 80 ulteriori impianti. E’ stato grazie al lavoro di denuncia di cittadini e comitati che, per esempio, sempre nel Bellunese, si sono salvati due torrenti di grande pregio ambientale, che erano stati autorizzati nonostante violassero la normativa europea.
LE MONTAGNE REMOTE INTERESSANO solo per il loro sfruttamento e a difenderle non c’è la politica ma i suoi abitanti. E cosi, in silenzio, le acque scompaiono. Free Rivers lancia un appello: «I giochi non sono ancora del tutto fatti, c’è un margine che dipende dalla nostra capacità di farci sentire». I cambiamenti climatici in atto, le sempre più frequenti siccità ci insegnano che non ci possiamo più permettere di essere distratti.