È stato un mezzo flop. Chi si aspettava la paralisi totale del Paese, le manifestazioni imponenti, o anche soltanto ben organizzate (e manipolate) come quella romana di sabato 9 ottobre, è rimasto assai deluso. Ma le iniziative di ieri hanno smentito anche coloro che vorrebbero si tenesse distinta la posizione oltranzista dei No Vax dalle proteste contro il Green pass. In molte città, da nord a sud del Paese, si sono mobilitati migliaia di cittadini, testimoniando però di fatto un disagio che ha molte origini diverse, viene da lontano, e ha trovato nella pandemia molti spunti per acuirsi. Ma in ogni caso, con queste forme, investe una parte residuale del Paese.

A Roma all’appuntamento del Circo Massimo, il più temuto dal punto di vista della sicurezza, hanno partecipato al massimo un paio di migliaia di persone (compresi Digos e agenti in borghese, che erano tanti e sopperivano all’apparente mancanza di polizia, presente ai bordi della piazza con soli due blindati). Qualche tricolore, pochi striscioni, qualche cane, niente famiglie con bambini, molti ultras, qualche capetto locale di Casapound, un gruppo di evangelici, un altro di Italexit con le bandiere blu di Paragone, i vessilli dei «Custodi della Costituzione» il cui leader, l’avvocato Eugenio Polacco, ha aperto la serie di interventi dal palco, e poco altro.

Tutti ad ascoltare discorsi che passavano dalla denuncia di una supposta «guerra alla classe operaia» sferrata «con la scusa della pandemia», ai «100 mila malati per colpa del vaccino, di cui 20 mila gravi». E giù tutti a gridare «assassini, assassini». Oltre al solito «giornalisti terroristi», «libertà libertà», «noi siamo il popolo» e slogan contro la «dittatura». Dal palco non si è presa la distanza dalla violenza fascista di sabato 9 ottobre: «I violenti sono loro». Ma «come segno di pacificazione, le nostre donne porteranno adesso un fiore ai poliziotti». Si forma un piccolo corteo improvvisato, spuntano come funghi chissà da dove un altro paio di blindati, i fiori vengono consegnati, si scattano le foto ed è finita lì. Al microfono si alternano personaggi vari. Un medico («uno dei 70 rivoltosi d’Italia», secondo la sua stessa testimonianza) tenta di distinguersi: «Per essere ascoltati dobbiamo essere credibili». Ma è un concetto troppo complesso, lo interrompono, sale un altro. Il maresciallo Roberto Luzzo si rivolge a «chi indossa una divisa» e avverte: «Abbiamo i vostri nomi, vi porteremo tutti in tribunale con la terza repubblica». C’è perfino chi parla di «fascistizzazione del corteo di sabato scorso come accadeva negli anni ’70 con le stragi di Stato». Qualsiasi cosa voglia dire.

A Milano invece per l’ennesimo sabato consecutivo un presidio in Piazza Fontana si è trasformato in corteo, con qualche centinaio di persone che ha bloccato il traffico in più punti. Manifestazioni anche a Trento, Udine, Verona, Lucca, Bologna, Cagliari. A Bolzano i manifestanti hanno sfilato con copie della Costituzione precedute da bara per dire che «È morta la Costituzione». In tutte le piazze i portuali di Trieste diventano un simbolo. «Trieste chiama, Messina risponde», è lo slogan più usato nella città siciliana. Dal megafono del corteo di Bologna a cui hanno partecipato più di duemila persone, si sono levati insulti contro Draghi, il segretario della Cgil Landini e addirittura contro la senatrice a vita Liliana Segre: «Una donna che ricopre un seggio che non dovrebbe avere perché porta vergogna alla sua storia: dovrebbe sparire da dove è…». Il turpiloquio si è interrotto a metà. Troppo perfino per quella piazza.