Sia vero o no, gran parte delle persone che lavorano nell’editoria pensano di fare il mestiere più bello del mondo. Convinzione rischiosa, che espone al rischio altissimo di paghe miserevoli, sostenibili a patto di avere una famiglia benestante o di mangiare pane e cipolle per anni. E pure convinzione balzana, data la poca considerazione di cui gode la lettura in Italia, tranne quell’otto-dieci per cento di fanatici che sorreggono il mercato del libro.
Tant’è, gli editori e più ancora gli «editoriali» – «coloro che nelle case editrici lavorano e, mentre le figure propriamente imprenditive sfumano in altitudini indefinite, le case editrici in concreto le fanno», come scrive Gian Arturo Ferrari nel suo Storia confidenziale dell’editoria italiana (Marsilio, 2022) – restano della loro idea. E non solo ne parlano con gli amici, ma la gridano ai quattro venti – dove i «quattro venti» prendono spesso la forma di libri stampati o digitali. Mancano i dati, ma sul ripiano delle «autobiografie lavorative», questi volumi superano sicuramente di molto quelli dei notai o degli idraulici (e sì che pure loro di belle storie ne avrebbero parecchie).

NON È UNA NOVITÀ. Senza andare troppo indietro, nel 1988 sono usciti due testi ineludibili per gli amanti del sottogenere: Il mestiere dell’editore di Valentino Bompiani e Frammenti di memoria di Giulio Einaudi. Da allora, però, la lista si è molto allungata e solo negli ultimi mesi sono arrivati in libreria almeno due nuovi titoli, oltre alla citata Storia confidenziale di Ferrari: Un quarto di pera di Giulio Einaudi e altre memorie editoriali di Roberto Cazzola, responsabile della germanistica per lo Struzzo e poi per Adelphi (edizioni Seb27, pp. 189, euro 16) e Balla coi libri, dove Marcello Baraghini, fondatore di Stampa alternativa e inventore della collana Millelire, racconta i suoi «50 anni di controcultura» alla sodale Daniela Piretti (Iacobelli, pp. 208, euro 18; oggi alle 18.30 la presentazione al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dove è in corso una mostra dedicata alla collana).

Sono tre libri, e tre editori/editoriali, che più diversi è difficile immaginare, ma proprio per questo è utile affiancarli, cominciando con Ferrari che, a lungo capo della Mondadori, è stato tra gli «editoriali» italiani il più importante, o se non altro il più potente. La sua Storia confidenziale è di fatto il seguito dell’autobiografia avviata con Ragazzo italiano (Feltrinelli 2020) e racconta come un giovanotto intelligente si proietti ben oltre la classe sociale di appartenenza e arrivi ai vertici della maggiore casa editrice italiana.

A SPINGERLO, oltre all’ambizione, sono studi rigorosi: forse per questo il libro, che contiene episodi più o meno noti, in ogni caso avvincenti per chi ama la materia, è attraversato da un vago disprezzo verso chi non ha dovuto faticare per avere una casa editrice e da un ostentato rispetto verso l’aspetto commerciale del mestiere. Tanto che a chi vuole seguire il suo esempio Ferrari riserva (nota bene Luca Crescenzi su Alias domenicale) consigli che possono apparire spiazzanti: «Servono persone vocate, che comunque e in qualsiasi circostanza non pensino ad altro che ai libri… Opportuno poi che possiedano una solida formazione culturale, che abbiano alle spalle studi severi… Non perché debbano riporre nell’editoria aspirazioni culturali, al contrario perché avendo toccato con mano la cultura, quella vera, si sentano ora liberi di cimentarsi nell’editoria, che è tutt’altra cosa».

Non tutti sarebbero d’accordo con Ferrari, e quasi di certo non lo è Roberto Cazzola: il suo piccolo libro – una raccolta di scritti sulle sue esperienze editoriali e sulle lettere tedesche del Novecento – è un atto d’accusa contro la «musica a richiesta» di tanti testi contemporanei, quella che «fa della letteratura l’ancella del talk-show» e le sottrae una delle sue funzioni maggiori: «opporre resistenza alle idee dominanti, alle certezze, agli imperativi e alle mode». E tuttavia, pur avendo amato Giulio Einaudi «di un amore ilare e filiale», pur avendo imparato molto da lui e poi da Roberto Calasso, «osservandoli, ascoltandoli», il testo iniziale dedicato al «despota divertito» dello Struzzo – ne mette in luce le idiosincrasie, le prepotenze: come il quarto di pera che dà il titolo al libro, imposto senza possibilità di rifiuto al commensale riluttante.
Infine, al terzo vertice del triangolo, Marcello Baraghini, quasi coetaneo di Ferrari (rispettivamente classe 1943 e 1944) e come lui di famiglia «non intellettuale», ma lontanissimo per scelte esistenziali e politiche. Le descrive bene Daniela Piretti nel libro-intervista che in nome della spontaneità è però segnato da tante inesattezze (ne segnaliamo una, sperando che in una prossima edizione il testo sia sottoposto a una revisione più attenta: a pagina 88, e nell’indice dei nomi, il deputato liberale Aldo Bozzi diventa il socialista Bruno Buozzi, ucciso dai nazisti nel ’44).

MA A OFFRIRE SPUNTI di riflessione è soprattutto la mostra sui Millelire – apparati scarni, solo le copertine dei leggendari libretti (e neanche tutti), con titoli oggi impensabili e accostamenti sconcertanti. Testi di Apollinaire, Charles Manson, Mark Twain e Sade uno accanto all’altro; e poi Generazione sfigata: le proposte dei giovani laburisti, Sesso e libertà di Julius Evola, Trino di Altan, Eraclito, TS Eliot… Con anni di anticipo (la collana è nata nel 1989) Baraghini prevede la cultura frammentata dei nostri tempi e ottiene un successo clamoroso: milioni di copie vendute, idea mille volte copiata. Ma la ricchezza non fa per lui, che continua a mandare avanti la sua libreria ribelle a Pitigliano. Quanto ai Millelire, se volete, li scaricate gratis da www.stradebianchelibri.com/millelire.html. Con buona pace dei profitti editoriali.