Il presidente messicano Enrique Peña Nieto è arrivato ieri in Cina per partecipare al Forum di Cooperazione economica Asia-Pacifico (Apec). Fino al 16 – quando terminerà il G20 in Australia a cui ha deciso di partecipare -, Nieto sentirà solo l’eco delle critiche e guarderà da lontano le manifestazioni che scuotono il Messico per chiedere le sue dimissioni.

Eppure, il presidente messicano sta attraversando la crisi peggiore da quando ha assunto il mandato, nel 2012, accolto da contestazioni e accuse di brogli da parte del suo avversario di sinistra Manuel Lopez Obrador. A innescare le mobilitazioni, la mattanza di Iguala, nello stato del Guerrero, avvenuta tra il 26 e il 27 settembre. Allora, polizia locale e narcotrafficanti dei Guerreros unidos hanno attaccato un gruppo di studenti della Normal Rural di Ayotzinapa, venuti a raccogliere fondi per ricordare un altro massacro, verificatosi nel 1968. Il saldo per quei due giorni di violenze è stato di 6 ragazzi uccisi (uno con la faccia strappata dalle torture), 25 feriti e 43 scomparsi.

L’intreccio mafia-politica

Eventi che hanno fatto il giro del mondo. Le mobilitazioni degli studenti sono state presto raggiunte da tutti quei settori sociali che non si accomodano nel perverso intreccio tra mafia e politica che regge le fila del potere in Messico fino ai più alti livelli istituzionali.

Quello di Iguala è «un crimine di Stato» hanno denunciato subito studenti e famigliari degli scomparsi, accompagnati dalle successive dichiarazioni degli organismi internazionali per la difesa dei diritti umani. A ordinare il massacro, l’ex sindaco di Iguala Luis Abarca: a quanto pare per impedire una contestazione al comizio della moglie, sorella di narcotrafficanti, ora in carcere con il marito. Ancora ricercato, invece, il capo della polizia e il governatore dello stato di Guerrero, poi sostituito.
Nel fine settimana, i manifestanti sono tornati ad attaccare le sedi istituzionali di Guerrero e a chiedere le dimissioni del Procuratore generale della Repubblica, Jesus Murillo Karam.

Durante una conferenza stampa, Karam ha dato conto delle testimonianze di alcuni pentiti (gli arrestati, tra polizia e narcotrafficanti, sono 79): i 43 studenti – ha detto – sono stati uccisi, bruciati e gettati nella discarica di Cocula, e in parte nel fiume. Ma i famigliari respingono questa versione e chiedono che si continui a cercare. Chiedono, soprattutto, che vengano agevolate le perizie della commissione di antropologi forensi da loro nominata. Gli esperti, provenienti dall’Argentina, stanno esaminando i resti trovati nelle 12 fosse comuni scoperte a seguito delle confessioni degli arrestati. Un compito né facile, né breve.

Alla fine della conferenza stampa, incalzato dalle domande che evidenziavano la colpevole inefficienza delle istituzioni, il procuratore generale ha tagliato corto dicendo: «Mi sono stancato». Una frase che ha fatto il giro del web e che i manifestanti hanno stampato sulle loro magliette, indirizzandola a lui e a Peña Nieto: ci siamo stancati – hanno scritto gli studenti sui loro volantini – di violenza, corruzione e povertà scaricata sui ceti popolari dalle politiche neoliberiste portate avanti da Nieto. Domenica, dopo la grande marcia partita una settimana prima dal Guerrero e confluita nella capitale, un gruppo di ragazzi ha assaltato le sedi governative, dando alle fiamme il portone centrale: «Ma quale pacifismo, ma quale non violenza, azione diretta e resistenza», gridavano i giovani, mentre la piazza rispondeva: «Ayotzinapa vive! Lo Stato è morto» e «Fuera Peña». La polizia ha arrestato 18 studenti, 4 dei quali poi tornati in libertà.

Un paese sicuro?

Per rendere più appetibile lo sfruttamento delle risorse messicane alle grandi imprese multinazionali, il presidente Nieto ha più volte assicurato di lavorare a un paese sicuro: ma, in assenza di misure strutturali di segno totalmente inverso a quello finora impresso dalle sue politiche, il paese resta uno dei più pericolosi al mondo per oppositori politici e giornalisti. Pena ha assicurato di voler coinvolgere la società messicana nell’istituzione di una Commissione di Stato per affrontare la violenza, che potrebbe istituire per decreto.

Il viaggio del presidente è anche accompagnato da un’inchiesta giornalistica che lo chiama in causa per una villa multimilionaria e appalti compiacenti all’impresa costruttrice. «Sarebbe stato irresponsabile – ha detto Nieto durante il viaggio – rinunciare a un evento come l’Apec», che rappresenta il 40% della popolazione mondiale, oltre la metà del Pil mondiale e quasi la metà del commercio del pianeta. Nieto è comunque arrivato troppo tardi per incontrarsi con Obama e discutere del Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip), a cui il Messico partecipa insieme ad altri 11 paesi.